Mentre i cambiamenti climatici e lo smog richiederebbero di spostare il trasporto di merci dalla gomma al ferro per ridurre le emissioni di gas serra e di gas nocivi per la salute, in Italia è boom di mezzi pesanti: tra il 2000 e il 2020 il parco circolante degli autocarri per il trasporto merci e per uso speciale ha toccato la quota record di 5.159.187 unità. Rispetto al 2000, quando erano 3.377.573, la crescita è di oltre il 52%. Sono i dati diffusi dall’Osservatorio sulla Mobilità sostenibile di Airp (Associazioni Italiana Ricostruttori Pneumatici).
La regione con il parco autocarri più sviluppato è la Lombardia (738.264), seguita da Sicilia (431.107), Veneto (425.784) ed Emilia-Romagna (415.827).
Nonostante la crescita del numero dei mezzi, non c’è stato però un rinnovamento del parco circolante degli autocarri: i camion che circolano sulle strade italiane sono più vecchi della media europea. Secondo i dati diffusi da Acea (Associazione dei costruttori automobilistici europei), l’età media dei mezzi pesanti in Europa è di 14,2 anni, mentre in Italia è di 19 anni.
Il boom del parco autocarri è associato alla grande diffusione dell’e-commerce, che tra il 2015 e il 2020 ha incrementato la quantità di merci trasportate del 14,1%. La crescita dell’e-commerce non impatta solo sul numero di mezzi che circolano in strada. Si deve proprio al commercio elettronico la crescita degli impianti di logistica, sia quella centralizzata dei grandi depositi, sia quella decentrata dell’ultimo miglio, per le consegne a domicilio, con il conseguente consumo di suolo cementificato e coperto da immensi capannoni.
Non è la prima volta che richiamo questo binomio-consumo di suolo e incremento del trasporto su gomma – a carico del commercio online (pur senza demonizzare in toto questa forma di vendita). Così come più volte ho richiamato la necessità di avere una regìa unica in Regione per la nuova logistica, per evitare che ogni Comune decida da solo, senza una visione complessiva degli impatti sul territorio, sul trasporto e sull’inquinamento, ovvero sulle persone. Oggi invece succede proprio questo: la logistica-fai-da-te.
Sarebbe questo lo sviluppo sostenibile di cui tutti, dopo aver deriso per decenni Verdi e ambientalisti, oggi amano riempirsi la bocca, continuando però il business as usual, senza cambiare niente, anzi incrementando le fonti d’inquinamento?
La strada da percorrere per attuare la transizione ecologica e la decarbonizzazione non è quella invasa dai camion. L’economia deve viaggiare sì, ma sui binari del trasporto ferroviario, che non inquina l’aria che respiriamo e che permette di ridurre il traffico motorizzato. Non solo: puntare sulla rotaia è anche la scelta più coerente con le politiche dei trasporti adottate dai paesi d’oltralpe con i quali scambiamo le merci. Inutile far viaggiare i nostri camion se poi di là dal confine vengono caricati su carrelli ferroviari…
A quanto pare, però, le migliaia di morti premature nel bacino padano per inquinamento atmosferico e la condanna dell’Italia da parte della Corte di Giustizia dell’Unione europea per violazione dei limiti di qualità dell’aria non bastano ancora per cambiare rotta a favore della “cura del ferro”.
Come ho più volte sottolineato in questi anni in Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna (qui i miei interventi in materia), bisogna liberare le ingenti risorse che ancora oggi vengono spese per grandi infrastrutture stradali e autostradali che impermeabilizzano il suolo, indeboliscono il territorio e incentivano il traffico su gomma, per reinvestirle in mobilità dolce, su ferro e trasporto pubblico collettivo. Se non ora, quando?