È una corsa a chi ce l’ha più lungo. Non fraintendetemi, parlo dei ponti tibetani, l’ultima novità del divertimentificio che sta invadendo le nostre montagne, dalle Alpi agli Appennini (vedasi il Ponte di Castelsaraceno, il più lungo al mondo con unica campata). Perché è troppo semplice ammirare la Natura senza lasciare traccia del nostro passaggio, come invitava un magnifico poster del Club Alpino Italiano di alcuni decenni or sono. No, bisogna infrastrutturarla.

E se gli impianti di risalita ormai suonano come desueti, visto il global warming, ecco l’idea che con la multistagionalità bisogna creare altre attrattive. I ponti tibetani, ma anche le vie ferrate (che erano un’invenzione bellica italiana, di cui i francesi si sono appropriati ed ecco noi a scimmiottarli). Oppure le zipline, con le quali ti sembra letteralmente di volare, oppure le alpine coaster, slitte su rotaie, anche qui per provare l’ebbrezza della velocità. Ma forse a tenere banco oggi, oltre ai ponti che rimandano a quel popolo lontano, sono le biciclette, trainate dalla moda della pedalata assistita, o e-bike. O biciclette elettriche. E qui, anche senza arrivare all’obbrobrio lombardo del novellato art. 59 della legge regionale 31/2008, che consente ai comuni di autorizzare la percorrenza ai mezzi motorizzati di mulattiere e sentieri, sembra si sia scatenata la febbre di realizzare appositi percorsi per biciclette, con o senza pedalata assistita. E l’aspetto carino è che di tali progetti si fanno addirittura proponenti degli enti parco, con una visione della tutela alquanto bizzarra, ma forse al passo coi tempi, in cui la Natura dove produrre profitto.

È così per l’area protetta Veglia Devero, dove si vuole realizzare il Grande Est al Devero, un nome altisonante per un progetto volto semplicemente ad alterare il sentiero storico che attraversa l’area protetta, allargandolo e livellandolo per facilitare il passaggio delle mountain bike, elettriche e non. Contro il progetto, la solita opposizione di associazioni ambientaliste, questa volta compreso il Cai. Ma non è la sola novità: anche addirittura il Parco Nazionale della Valgrande – la più grande area wilderness italiana – si fa attirare dalle sirene del cicloturismo, volendo inaugurare due itinerari cicloturistici ad anello. La logica è quella di creare attrattive, perché la montagna, la Natura da sola, non attirano abbastanza.

Del resto, esemplare è l’incipit della presentazione del progetto della Valgrande: “L’idea progettuale a base del progetto VALGRANDE BIKE è quella di valorizzare il territorio montano dell’entroterra verbanese”. Sta tutto lì, in quella terribile parola: “valorizzare”, perché la Natura di per sé non ha valore. Sta tutta lì la mentalità malata di amministratori ai vari livelli, anche, oggi, di aree protette, che tra l’altro si rendono responsabili anche di creare conflitti tra escursionisti e ciclisti.

Dice bene la guida alpina Michele Comi in un suo recente articolo su MontagnaTv: “I promotori delle ‘ciclovie’, che cannibalizzano gli antichi tracciati, sono spesso gli stessi abitanti, obnubilati da una cultura massificante, che non sanno più riconoscere i propri luoghi, incapaci di vedere l’unicità e valore di questi spazi e di prendersene cura preservandone l’identità. Ne vale la pena? Sacrificare il patrimonio incalcolabile rappresentato da sentieri e mulattiere storiche per la nuova mobilità ‘green’ da offrire al turista su due ruote?”.

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