Tutti assolti i quattro imputati coinvolti nel processo nato da un’inchiesta della Guardia di finanza sui lavori di “ristrutturazione ed adeguamento normativo” dell’ospedale di Cosenza. Lo ha deciso il Tribunale di Reggio Calabria presieduto dal giudice Silvia Capone che ha emesso la sentenza del processo di primo grado. A quattro anni dagli avvisi di garanzia, sono cadute le accuse per l’imprenditore Antonio Scopelliti del consorzio Gico Srl, il direttore dei lavori e membro del consiglio direttivo del Consorzio Telesio Sts Spa Leone Pangallo, il responsabile della contabilità del cantiere Eugenio Minniti e il geometra dell’ufficio 6 delle opere marittime per la Calabria e la Sicilia del ministero delle Infrastrutture Paolo Abagnato.
In sostanza, secondo gli inquirenti, nell’appalto per i lavori dell’ospedale (che ammontavano a oltre 6 milioni di euro) ci sarebbero stati importi gonfiati di 120mila euro. Stando all’ipotesi accusatoria, infatti, l’imprenditore Scopelliti avrebbe garantito ai pubblici ufficiali gratuite ristrutturazioni di case private e gratuiti traslochi da Reggio Calabria in Sicilia coi mezzi della ditta impegnata nei lavori presso il presidio ospedaliero “Mariano Santo” di Cosenza dove, per i pm, “per l’esecuzione dell’appalto venivano forniti vetrocamere per infissi esterni non a norma e pannelli di polistirene estruso non conforme a quello previsto in capitolato”. Ma anche “marmi, stucchi e intonaci di qualità inferiore – si leggeva nel capo di imputazione – a quanto previsto contrattualmente, porte non a tenuta stagna, materiali per gli impianti elettrici obsoleti e guaine impermeabilizzanti non calpestabili”. Costi ridotti, quindi, “per opere e forniture contabilizzate in misura superiore a quanto effettivamente eseguito”. Per questo motivo, gli indagati sono stati accusati di aver “gonfiato” gli importi da far liquidare all’imprenditore Scopelliti a cui sarebbero stati pagati negli stati di avanzamento dei lavori (Sal) importi non dovuti “per 50mila euro lordi per il Sal XI e 70 mila euro per il Sal XII”.
Da qui l’accusa di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, corruzione di persona incaricata di pubblico servizio e frode nelle pubbliche forniture che era supportata da alcune intercettazioni telefoniche e ambientali con cui i finanzieri della compagnia di Reggio Calabria sono riusciti a ricostruire i rapporti tra gli indagati e il presunto “accordo corruttivo” tra gli stessi. Tutte accuse non dimostrate nel processo al termine del quale il Tribunale di Reggio Calabria ha dato ragione al collegio difensivo composto dagli avvocati Giuseppe Alvaro, Massimo Canale e Carmelo Chirico.
I legali degli imputati, infatti, hanno dimostrato che nessuna utilità era stata offerta dalla ditta in favore del direttore dei lavori e non vi era alcuna maggiorazione negli importi liquidati alla Gico che ha utilizzato materiale “conforme alla normativa di riferimento”. Secondo l’avvocato Alvaro, difensore dell’imprenditore Scopelliti e del geometra Abagnato, l’impresa “non avrebbe beneficiato di nessuna somma aggiuntiva nei Sal di volta in volta liquidati perché si trattava di un appalto ‘a corpo’ e non a misura e pertanto il prezzo dell’opera finale è fisso in variabili ed è indipendente dalla verifica sui singoli stati d’avanzamento lavori”.