Marco Tronchetti Provera ha spinto fino all’ultimo per avere un stretta governativa che mettesse in fuga il suo socio in Pirelli, i cinesi di Sinochem. Ma la ragion di Stato per una volta ha avuto la meglio anche su di lui, ancora una volta venditore pentito. E così il governo, già irritato per le pressioni ricevute nelle scorse settimane, ha chiuso l’affaire degli penumatici dando un colpo al cerchio e uno alla botte.

Con un very soft Golden Power, l’esecutivo ha tributato un riconoscimento formale alla strategicità e la delicatezza della tecnologia delle gomme della Bicocca, ma stando a quanto trapelato oltre allo scarno comunicato di venerdì sera, nei fatti non ha prescritto strategie difensive che vadano molto oltre il minimo sindacale.

Per esempio Repubblica riferisce che una delle prescrizioni riduce da 9 a 8 il numero dei consiglieri di amministrazione di nomina cinese. Tuttavia in base ai patti il nono consigliere era Giorgio Bruno, cioè l’uomo di Tronchetti. A quest’ultimo viene di fatto attributo un diritto di veto su alcune operazioni strategiche che potranno passare solo con il voto favorevole di 4/5 dei 15 consiglieri di amministrazione.

La conquista più rilevante, insomma, è che contrariamente ai patti tra i soci, spetterà a Camfin, la holding di Tronchetti che possiede solo il 14% del capitale di Pirelli, scegliere l’amministratore delegato del gruppo anche dopo il 2026. Una vittoria per la tutela dell’italianità, anche se non va dimenticato che è vero che Tronchetti comanda in Camfin con la maggioranza dei diritti di voto forte sistema del voto plurimo, ma è pur vero che il primo azionista e beneficiario dei diritti economici della cassaforte è anch’esso cinese. In caso di scontro sarebbe disposto ad andare contro Pechino?

Ma, prima di tutto, bisogna vedere se Sinochem riterrà le prescrizioni di Roma accettabili o se si farà sedurre dalle pressioni a vendere perché le troverà troppo dure, anche se fino ad oggi i cinesi hanno sempre fatto sapere indirettamente di non essere intenzionati a uscire dal capitale di Pirelli. Per ora vige il no comment. Tuttavia la reazione della controparte cinese sarà fondamentale per quanto sta realmente a cuore al governo. E cioè una soluzione all’ormai imminente scadenza degli accordi politico-commerciali con la Cina che ricadono sotto la Via della Seta, che non scontenti né Washington né Pechino e salvaguardi al contempo gli interessi italiani.

Una categoria quest’ultima che include per altro – e ben più di Pirelli – anche Cdp Reti, la holding della Cassa Depositi e Prestiti che gestisce gli investimenti in Snam, Italgas e Terna “per sostenere lo sviluppo delle infrastrutture strategiche del Paese nei settori del gas e dell’energia elettrica”, come si legge sul sito della società che da fine 2014 ha come secondo azionista con il 35% del capitale State Grid Europe Limited, emanazione del gruppo State Grid Corporation of China. Cioè la società elettrica pubblica cinese.

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