Le ricerche dei dispersi sono state sospese e il senato pakistano di Islamabad ha resto noto che sono più di 300 le vittime pakistane annegate nel naufragio del motopeschereccio partito da Tobruk in Libia con 750 persone e affondato verso le due del mattino di martedì 14 giugno a sud di Pylos, a 45 miglia nautiche dalla costa greca del Peloponneso. Intanto si fa sempre più fragile la versione delle autorità greche. A mettere in discussione la ricostruzione offerta dalla Guardia costiera di Atene, che aveva insistito sul rifiuto del soccorso da parte dei migranti, arriva anche il rapporto del comandante della petroliera Faithful Warrior, uno dei cargo che hanno raggiunto le coordinate del peschereccio nelle 7 ore che, anche dai rilevamenti satellitari, non risulterebbe essersi mosso dalla sua posizione. Il comandante Kostantinidis Panagiotis riferisce di aver comunicato al Centro di ricerca e soccorso ellenico alle 21.45 del 13 giugno “che il peschereccio stava oscillando pericolosamente a causa del sovraffollamento su tutti i ponti”.
Una situazione di pericolo oggettiva, dunque, quella segnalata dal ponte della Faithful Warrior, che dopo aver fatto arrivare acqua e viveri all’imbarcazione dei migranti riporta la “riluttanza del comandante del peschereccio a collaborare con la nostra nave per le operazioni di assistenza” e il lancio in mare dei rifornimenti da parte delle persone a bordo. Il tutto riferito anche al centro di coordinamento ellenico alle 21:51, quando alla petroliera viene chiesto di allontanarsi e di tenersi a 5 miglia nautiche, “mentre contemporaneamente un mezzo della Guardia costiera greca si avvicinava all’imbarcazione sovraffollata fino a distanza di assistenza, come appariva sugli strumenti elettronici di navigazione vista l’ora tarda”, scrive il comandante Panagiotis. Dopo la mezzanotte, alle 00:30 del 14 giugno, il centro di coordinamento greco solleva lui e la sua nave dall’operazione di ricerca e soccorso e lo invitata a proseguire il suo viaggio. Quando la petroliera si allontana, riporta il comandante, “la nave della Guardia costiera era ancora accanto al peschereccio, come appariva sul nostro radar”.
Una ricostruzione che smentisce una volta di più quella fornita fin dalle prime ora dalla Guardia costiera greca, concentrata sul rifiuto dei migranti ad essere soccorsi per evitare di essere sbarcati in Grecia quando la destinazione era l’Italia. Ma come ha detto anche il rappresentante dell’UNHCR per il Mediterraneo centrale Vincent Cochetel, “la barca era inadeguata e, a prescindere da ciò che alcune persone a bordo possono aver detto, la nozione di pericolo non può essere discussa”. In altre parole, come ha scritto il giurista Fulvio Vassallo Paleologo, “la nozione di distress, che impone un intervento immediato di salvataggio, non può essere oggetto di discussione tra naufraghi e soccorritori. Le persone vanno comunque messe in sicurezza, anche con il lancio di giubbetti salvagente, e trasbordate nel più breve tempo possibile”. Un tipo di intervento che anche la Guardia costiera italiana ha più volte effettuato, anche di fronte a motopescherecci sovraffollati con centinaia di persone a bordo. Ma da chiarire è proprio l’intervento della Guardia costiera, a partire dalla possibilità che una vera e propria operazione di soccorso non sia mai realmente iniziata.
Da quanto emerso, anche dalle testimonianze raccolte tra i 104 sopravvissuti, il peschereccio sarebbe effettivamente stato agganciato dalla Guardia costiera con un cavo. Da capire se proprio questa operazione si sia rivelata fatale per un’imbarcazione che, senza più spinta del motore e instabile per l’enorme carico, era già a rischio di capovolgersi. Altrettanto importante comprendere la natura della scelta di trainare un peschereccio stracolmo e instabile. La Guardia costiera, che in un primo momento ha negato di aver legato a una corda il peschereccio, ha poi detto che i migranti l’avrebbero sciolta per non farsi portare in Grecia e infine che l’operazione non serviva a trainare l’imbarcazione ma solo a stabilizzare l’avvicinamento per verificare le necessità a bordo. Molte ong hanno invece accusato la Guardia costiera di voler trascinare i migranti fuori dalle acque SAR greche (search and rescue) verso la zona SAR maltese, nonostante le molte miglia da percorrere in quelle condizioni. Un’operazione alla quale la guardia costiera di Atene non sarebbe nuova. La settimana scorsa 29 migranti sono stati così respinti nelle acque territoriali turche e poi salvati al largo della costa del distretto di Dikili, nella provincia turca di Izmir, secondo quanto dichiarato della guardia costiera turca. La Turchia e i gruppi per i diritti umani hanno ripetutamente condannato la pratica illegale utilizzata dalla Grecia per respingere i migranti, affermando che “viola i valori umanitari e il diritto internazionale mettendo in pericolo la vita di migranti vulnerabili, tra cui donne e bambini”.
Intanto salgono a 80 le vittime accertate, e per Atene, che ha avviato un’indagine chiedendo la collaborazione di Europol e in queste ore sta sentendo i 12 superstiti egiziani sospettati di essere trafficanti, le cose da chiarire sono tante e sembra sempre più remota la possibilità di confermare le prime versioni ufficiale. Viste le contraddizioni emerse, sono sempre di più le voci che domandano un’indagine internazionale e indipendente. La ong Alarm Phone ha messo a disposizione le comunicazioni ricevute e rilanciate alle autorità greche, compresa la richiesta di aiuto da parte di migranti a bordo del peschereccio che otto ore prima della tragedia, alle 17:20 del 13 giugno, comunicavano: “Il capitano è scappato con una scialuppa, per favore aiutateci”. Inoltre, la BBC ha pubblicato le rilevazioni satellitari che, oltre ai tanti cargo giunti sulla posizione, mostrerebbero come per ben 7 ore il peschereccio non si sarebbe mosso. Un punto subito messo in discussione da un comunicato della Guardia costiera greca pubblicato in risposta alle notizie della stampa internazionale: “In totale, il peschereccio ha percorso una distanza di circa 30 miglia nautiche dal momento del rilevamento al momento dell’affondamento”. Quanto alle telecamere della motovedetta della Guardia costiera 920, che le autorità sostengono essere state spente, la testata investigativa documentonews.gr sostiene invece che “il 15 giugno Miltiadis Zouridakis, tenente della Guardia costiera e capitano della motovedetta 920 che si è avvicinata al peschereccio la notte del naufragio, ha debitamente presentato materiale audiovisivo e cinque fotocopie di un diario di bordo della barca” al tenente della Guardia costiera, Nikolaos Tsoulos.