“La sensazione è che, anche alla luce degli interventi normativi più recenti, come ad esempio quello sui rave, la politica penale del governo Meloni miri a intensificare la repressione della microcriminalità e dei reati di strada, mentre tenda a disarmare il versante della criminalità economica ed amministrativa“. Così, ai microfoni di 24 Mattino (Radio24), Cinzia Barillà, presidente di Magistratura Democratica e giudice di sorveglianza presso il Tribunale di Reggio Calabria, commenta il ddl Nordio, premettendo: “Naturalmente le leggi le fa il Parlamento e la magistratura, anche e soprattutto Magistratura Democratica, può e deve offrire un dato esperienziale su quanto accade nelle aule di giustizia”.

Il magistrato, pur riconoscendo il valore del “principio di civiltà giuridica” presente nel ddl Nordio, ovvero quello di mantenere una “sobrietà dei riflessi mediatici dei processi penali”, denota una falla nella norma sulle intercettazioni: “È facile prevedere che la tutela rafforzata della riservatezza dei terzi nelle intercettazioni , peraltro secondo il criterio interpretativo molto opinabile della rilevanza per l’inchiesta, sarà attivata concretamente solo su istanza quando i terzi citati sono dei notabili. E invece poco o nulla cambierà per i terzi citati nei processi comuni“.

Barillà sottolinea: “Questa norma del ddl Nordio non tiene conto di un dato empirico: nei territori del Sud c’è una grande capacità di infiltrazione di poteri criminali occulti. Per la ricostruzione di questi poteri d’interferenza l’utilizzo di nomi e cognomi e la mappatura dei contatti – prosegue – è un argomento che non può essere sempre del tutto subordinato alla riservatezza del singolo. Si tratta invece di condizione essenziale per far capire il tipo di aggressività del potere. E non solo: le conversazioni considerate ‘irrilevanti’ erano state già ampiamente espunte con la riforma Orlando“.

Commento finale di Barillà sulle parole pronunciate a un festival di Taormina dal Guardiasigilli contro l’Associazione Nazionale Magistrati (“L’interlocutore istituzionale del governo e della politica non è il sindacato, ma il Csm“): “Mi trovo molto in disaccordo con questa posizione di Nordio, perché il senso di essere associati in magistratura è proprio quello di autocensurarsi e di criticarsi a vicenda, perdendo così quell’autoreferenzialità che a volte abbiamo come singoli e che ci portiamo dietro dalla deformazione professionale. Facciamo associazione – conclude – per elaborare un pensiero collettivo interno che faccia autocritica e che quindi si ponga all’esterno più consapevole dei propri limiti, dei propri difetti e anche dei propri vizi, ma nello stesso più autorevole nell’offrire un dato esperienziale che sia frutto di un pensiero condiviso. Al posto del ministro Nordio, quindi, non avrei paura ad avere una interlocuzione con le associazioni di magistrati“.

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