Rudi Garcia è l’allenatore giusto per il Napoli perché lo ha scelto il presidente Aurelio De Laurentiis che ha ben presente un concetto (di marketing) molto apprezzato dai millennials.

Cercherò di spiegarmi partendo da una premessa: se fossi il presidente di una squadra di calcio per un solo giorno (è la simulazione che ho provato a fare con il mio libro A scuola da De Laurentiis) e chiedessi ai miei collaboratori: “Cosa vende la nostra azienda di calcio?”, non vorrei mai sentirmi rispondere: “Uno spettacolo”. Un’azienda di calcio non vende spettacolo. Un’azienda di calcio vende diritti televisivi, abbonamenti e biglietti per assistere allo spettacolo, il suo brand per sponsorizzazioni e merchandising. Questi elementi determinano il fatturato, i ricavi di una società calcistica.

Lo spettacolo è solo la materia prima che viene lavorata, “trasformata” dagli operai-calciatori (chiedo scusa a tutti i salariati per la forzatura) e dai manager e specialisti della direzione sportiva (direttore sportivo, allenatore e staff, team manager e coordinamento medico-sportivo). Come si valuta quella “materia prima”?

Se produco e vendo pasta, devo saper scegliere il grano in base a determinate caratteristiche. Se sono il presidente di un’azienda di calcio, come faccio però a capire se la “materia prima” per produrre fatturato, cioè lo spettacolo-calcio, è buona? C’è un unico metro di valutazione (se ne sono accorti anche i sarristi, oltre che Sarri): i risultati!

Certo, la qualità degli operai e dei manager influenza tantissimo la qualità di qualsiasi spettacolo.

Provate a immaginare un Natale in casa Cupiello interpretato da Toni Servillo e con la regia di Paolo Sorrentino: per il produttore (colui che investe i propri soldi) le probabilità che quello spettacolo raggiunga il “risultato” sperato sono elevatissime. Anche se l’equazione “migliori attori = miglior spettacolo” non sempre è perfetta, è indubbio che la possibilità di raggiungere l’obiettivo è maggiore.

Ma il produttore-presidente ha come scopo l’efficienza aziendale: realizzare il massimo risultato con il budget a disposizione. Perché, se sbaglia un paio di spettacoli e non vende i suoi prodotti (diritti tv, biglietti, sponsorizzazioni e merchandising), potrebbe ritrovarsi a portare i libri in tribunale per il default.

Basta citare il caso Chievo Verona, da tutti additato nel recente passato come esempio di efficienza gestionale, senza limitarsi a considerare solo le realtà che hanno alle spalle famiglie-casseforti. Questi casi rappresentano il 10% delle aziende-calcio. Il restante 90%, tra cui il nostro amato Napoli, per essere efficiente deve basarsi su una profittevole e capace area produzione (dello spettacolo), formata dagli operai-calciatori e dalla direzione sportiva.

Ecco il punto!

La capacità di Aurelio De Laurentiis non sta solo nell’utilizzo della calcolatrice, ma anche e soprattutto, lo ripetiamo fino alla noia, nell’attitudine a saper scegliere, anche per la direzione e l’area sportiva (quella che produce lo spettacolo), i giusti collaboratori. Che, attenzione, non sono sempre e solo quelli che costano di più!

È indubbio che la qualità degli stessi rappresenta un vantaggio competitivo.

E il fatto che guadagnino tanto conferma il principio che l’unico elemento di differenziazione possibile nel calcio moderno, indipendentemente da come te lo procuri (!), è il denaro, che permette di contrattualizzare i migliori tecnici e i calciatori più forti.

Negli ultimi sedici anni, infatti, nelle cinque principali leghe europee si sono giocati 80 campionati nazionali e per 75 volte ha vinto una squadra che a inizio campionato aveva la rosa tra le tre più costose (e per più di due volte su tre la squadra che aveva la rosa più costosa in assoluto). Nelle cinque (su 80!) volte in cui non è successo, a fine campionato le squadre più ricche si sono comprate i calciatori del vincitore e hanno vinto l’anno successivo (il caso più eclatante: il Leicester di Claudio Ranieri).

Attenzione, però, perché spesso nel nostro Paese si ingigantiscono concetti aziendalistici con un’enfasi che tende a mascherare l’incompetenza. Soprattutto in un’epoca come la presente, in cui supponenti maîtres-à-penser di estrazione sportiva tendono a proporci, specie dai media più invasivi, certezze storiche su temi e argomenti di cui non posseggono alcuna competenza o preparazione.

Vero, il calcio produce tanto fatturato. Ma si tratta di un settore che non realizza profittabilità, redditività, guadagni.

La sostenibilità nel tempo del bilancio del Napoli sta, appunto, nella capacità di produrre fatturato, ma anche di tenere i costi sotto controllo; in altri termini, nell’efficienza di quel rapporto costi-be-nefici che si realizza per la prodromica abilità di saper gestire bene la materia prima “spettacolo = risultato”.

E negli ultimi dieci anni, il Napoli è la squadra che, in Serie A, dopo la Juventus (i cui investimenti hanno però prodotto uno scandalo giudiziario), ha fatto più punti.

Non solo ma ho fatto anche una piccola indagine su tre generazioni di tifosi supponendo che gli stessi manifestino la massima attenzione alla propria squadra in quei 50 anni di vita che vanno, più o meno, dai 10 ai 60 anni: la generazione silenziosa, quella di mio padre Agostino, nato nel 1931; la generazione dei boomers, quella di chi vi scrive che è nato nel 1963; e la generazione dei millennials, cui appartiene mio figlio Agostino, nato nel 1994.

Ebbene mio padre nei suoi 50 anni di tifo attivo ha collezionato 14 partecipazioni alle coppe europee di cui solo due alla Coppa Campioni (oggi Champions League) con un tasso di presenza nelle competizioni internazionali del 28% (4% in Coppa Campioni); il sottoscritto, nello stesso intervallo di mezzo secolo, ha invece maturato 30 qualificazioni alle coppe europee di cui 9 alla Coppa con le orecchie con un tasso di presenza del 60% (18% in CL).

Mio figlio Agostino, beato lui, in soli 19 anni di vita da tifoso attivo, ha totalizzato 16 partecipazioni alle competizioni internazionali di cui 7 in Champions League con un tasso di presenza del 84% (37% in CL)!!!

Conclusione: se hai fatto più punti e se hai giocato più volte le manifestazioni continentali, hai fatto più spettacolo, hai fatto divertire il tuo pubblico (oggi prevalentemente composto da millennials e generazione Z) che ha poi comprato biglietti, abbonamenti a pay tv e magliette, così come sicuramente sei stato attrattivo verso aziende-sponsor di livello mondiale che difficilmente si sarebbero avvicinate se non avessi prodotto un ragguardevole “spettacolo = risultato”. Amen.

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