Nelle scorse ore la procura di Padova ha impugnato 33 atti di nascita di bambine e bambini con due mamme. Cosa significa? In sintesi, è richiesto al Comune di cancellare il nome della madre non biologica dai certificati. Attenzione, perché qui non si parla di nuove norme, ma di agire in modo retroattivo; le famiglie coinvolte, infatti, hanno registrato al Comune la nascita dei figli ormai da diversi anni, a partire dal 2017. Non si sta, dunque, impedendo alle coppie omogenitoriali di firmare nuovi certificati di nascita, si sta invece obbligando bambini di quattro, cinque, sei anni a restare senza la madre che li ha cresciuti fino a ieri.
Il secco “no” del governo alla maternità surrogata cosa c’entra con le famiglie in cui sono presenti due mamme che hanno progettato e fatto ricorso – in prima persona – a percorsi di riproduzione medicalmente assistita? Forse è ora di riconoscere che il punto non è mai stata la gravidanza per altri, bensì la volontà di negare l’esistenza delle famiglie arcobaleno in nome di una presunta “protezione” di cui i minorenni necessitano. Una concezione un po’ strana di protezione se il risultato è togliere ai genitori la possibilità di continuare a prendersi cura dei propri bimbi. Perdere il “secondo genitore” ha delle ripercussioni sulla quotidianità delle famiglie (autorizzazioni scolastiche, cure mediche, decisioni sulla salute, spostamenti) ed elimina anche il legame del bambino con tutti i parenti acquisiti dal lato della mamma non biologica: nonni, zii, cugini, ma soprattutto fratelli e sorelle legati geneticamente all’altro genitore. Davvero c’è qualcuno che riesce a chiamarla “protezione”?
Eventi di questo tipo hanno ricadute pesanti sulla salute psicologica dei minori, lì dove – al contrario di quel che dicono ministri e destre da salotti tv – crescere con due mamme o due papà non danneggia in alcun modo i bambini. Nessuna confusione sulla propria identità, nessuna compromissione della capacità di comprendere e rapportarsi alla realtà, nessuna difficoltà relazionale: tutte le valutazioni psichiche e psicologiche sono in linea con quelle dei bambini cresciuti da coppie uomo-donna. Lo Stato italiano, invece, sembra ancora legato a una convinzione smentita ormai da trent’anni secondo cui l’orientamento sessuale influirebbe sull’abilità e le competenze emotive utili ad essere buoni genitori, sia per le coppie formate da donne che da uomini. Fa ribrezzo – però forse è utile a misurare il livello di ignoranza e odio promossi dall’attuale governo – pensare che questa errata convinzione derivi da un ancor più radicato accostamento tra omosessualità e pedofilia, di cui si è fatto portavoce di recente il deputato di Fratelli d’Italia Federico Mollicone, proponendo di punire i genitori arcobaleno con le stesse pene relative all’abuso minorile.
L’ambiente conservatore conferisce valore solo alla famiglia composta da padre, madre e figli, richiamando spesso il regno naturale/animale in cerca di conferme su eterosessualità, legami e riproduzione, come se il fatto che la biologia differenzi geneticamente gli individui maschili da quelli femminili – stabilendo anche i compiti della maternità e della paternità – fosse la chiave per associare la correttezza naturale a quella morale. Per i sostenitori della “famiglia naturale” tutto ciò che non rientra nell’assioma della vita biologica è per forza di cose contro la morale.
Ora, anche ammettendo che si possa identificare un tipo di gruppo familiare talmente consolidato e permanente da poter essere considerato naturale (e non è così, poiché il concetto di “famiglia” è cambiato decine di volte nei secoli), da tale individuazione non può derivare la bontà morale di un siffatto modello. Infatti, nello stabilire che la differenza tra i sessi è necessaria alla riproduzione nella maggior parte dei casi, la biologia fa riferimento solo all’accoppiamento meramente fisico e non tiene conto di tutte le variabili psico-sociali, antropologiche e del diritto. Di conseguenza, se si trasferisse sul piano giuridico la verità biologica sulla riproduzione, si presenterebbe il rischio di tralasciare alcuni importanti pilastri per la costruzione di una famiglia, come quello psicologico e sociale. Perciò non è possibile fare del legame genetico il fattore esclusivo e unico di determinazione di un modello familiare, a meno di non voler strumentalizzare la scienza con finalità discriminatorie.
Non è più possibile continuare a giustificare quest’odio in nome dei diritti dei bambini. Il problema del vuoto normativo c’è: la legge italiana in riferimento alla pma, alla gestazione per altre/i e, in generale, al riconoscimento delle famiglie arcobaleno, è scarna e interpretabile, tra articoli, sentenze della Cassazione e pronunce di merito. Di questo non è certo responsabile l’attuale governo ed è chiaro che chi l’ha preceduto avrebbe dovuto lavorare in tal senso, per non lasciare alcune famiglie senza uno straccio di diritto. Eppure, fino a oggi, nessun atto di nascita era mai stato impugnato in modo retroattivo. Vogliamo raccontarci che si tratta di una casualità? A mio parere è palese l’intenzione di Meloni & co. di confermare al proprio elettorato che ci sono cittadini e cittadine di serie B.