La virata scelta dal governo Meloni con la cancellazione del reddito di cittadinanza per fare posto all’assegno di inclusione lascerà senza sussidi circa mezzo milione di nuclei. Lo certifica l’Ufficio parlamentare di bilancio nelle simulazioni presentate all’interno della relazione sulla politica di bilancio. Dati simili erano già emersi negli scorsi mesi, ora arriva il “bollino” dell’Upb che avverte anche sulla necessità di rimodulare le politiche di sostegno in favore delle fasce più deboli. I calcoli sono presto fatti: dei quasi 1,2 milioni di nuclei familiari beneficiari di reddito di cittadinanza, circa 400.000 (il 33,6%) sono esclusi dall’assegno di inclusione perché al loro interno non sono presenti soggetti tutelati. Dei restanti circa 790.000 nuclei in cui sono presenti soggetti tutelati, circa 97.000 (poco più del 12%) risulterebbero comunque esclusi dalla fruizione dell’Adi per effetto dei vincoli di natura economica. Nel complesso, dunque, i nuclei beneficiari dell’Adi risulterebbero circa 740.000, di cui 690.000 già beneficiari del reddito a cui bisognerà aggiungere 50mila nuovi beneficiari stranieri per via della modifica del vincolo di residenza in Italia che passa da 10 a 5 anni. Oltre il 40% di coloro che hanno percepito il reddito di cittadinanza, quindi, sarà fuori dai nuovi sussidi.
Secondo l’Upb, le famiglie con disabili sono quelle maggiormente avvantaggiate dalla riforma, con un aumento medio del beneficio di 64 euro mensili. I nuclei con minori (non disabili), che sono quelli maggiormente interessati dalla modifica del calcolo dell’importo base dell’assegno di inclusione, per poco più della metà incrementano il beneficio complessivo (+124 euro medi mensili) e i restanti ricevono assegni inferiori (il 33,7%, perdendo circa 140 euro) o non ne ricevono affatto (il 13,7%, perdendo circa 194 euro mensili). Mediamente il beneficio è sostanzialmente stabile (-9 euro medi mensili). Per i nuclei con anziani, mediamente, i benefici si riducono invece di circa 29 euro medi mensili. “Non si riscontrano cambiamenti significativi” nel passaggio dal reddito all’assegno sotto il profilo territoriale, con il nuovo sussidio che resterà “prevalentemente a favore dei nuclei residenti nel Mezzogiorno”. Al Sud infatti risiede il 65,8% dei percettori dell’assegno di inclusione contro 64% del reddito. L’Upb avvisa anche circa la necessità di proseguire e modificare le misure di sostegno. Quelle disposte a partire dal 2022 “hanno consentito di mitigare la perdita di potere d’acquisto indotta dall’inflazione e sostenere i consumi”, ha spiegato la presidente Lilia Cavallari. “Simulazioni dell’Ufficio mostrano che l’effetto di compensazione è stato più elevato per le famiglie con bassi livelli di spesa, proteggendo le fasce più vulnerabili della popolazione”.
Ora però con “l’attenuarsi dell’inflazione energetica e il contemporaneo propagarsi dell’aumento dei prezzi alle altre categorie di beni nel corso del 2023, la revisione delle politiche di mitigazione dovrà tenere conto di diversi fattori”, si legge nel rapporto. “In primo luogo, l’effetto sulla spesa della riduzione dei prezzi energetici potrebbe non compensare la crescita indotta dal progressivo ridimensionamento delle misure tariffarie – continua il dossier – In secondo luogo, l’inflazione potrebbe risultare più persistente e di conseguenza rendere necessario valutare la riproposizione di alcune delle misure anche nella seconda parte del 2023 per mitigare gli effetti dell’inflazione non energetica”. In questo senso – avverte l’Ufficio parlamentare di bilancio – è “auspicabile che i nuovi interventi siano più decisamente concentrati sulle famiglie maggiormente bisognose al fine di accentuarne il carattere redistributivo, che siano disegnati in modo tale da fornire i necessari incentivi per raggiungere, anche mediante il segnale dei prezzi di mercato, obiettivi più ambiziosi di risparmio energetico e che siano corredati da adeguate coperture finanziarie per non mettere a rischio lo stato dei conti pubblici”.