Per comprendere l’impresa che si sta tentando bisogna partire da un dato: l’area battuta è di oltre 25.900 chilometri quadrati di mare, più grande del Connecticut. E le ricerche stanno coinvolgendo il meglio delle tecnologie disponibili al mondo, sia in campo militare che civile. Non è come cercare un ago in un pagliaio, ma poco ci manca. La Guardia costiera statunitense, il Pentagono, militari canadesi e diversi mezzi privati – alcuni specializzati nella posa di tubi e cavi a grandi profondità – stanno esplorando palmo a palmo, dal cielo e per mare, l’area attorno al punto in cui si sono perse le tracce del Titan, il sottomarino con 5 persone a bordo che si dirigeva negli abissi dell’oceano Atlantico verso il relitto del piroscafo Titanic affondato oltre un secolo fa. Ma quali tecnologie sono a disposizione per rintracciare il sommergibile ed eventualmente provare a riportarlo in superficie prima che l’ossigeno a disposizione dei passeggeri si esaurisca?

In campo ci sono aerei statunitensi e canadesi per la ricognizione dall’alto, compresi tre C-130. Ma le ricerche già da martedì si sono trasferite anche sott’acqua, grazie ad alcune navi commerciali fatte confluire in zona. Tra queste anche la Deep Energy, battente bandiera delle Bahamas, specializzata nella posa di tubi e cavi a profondità che raggiungono i 3mila metri. I proprietari, TechnipFMC – che operano dal Regno Unito e dagli Stati Uniti – hanno riferito alla Bbc che l’imbarcazione ha raggiunto il sito per contribuire alle ricerche subacquee. La Deep Energy trasporta due veicoli telecomandati (Rov), che possono scendere a 3mila metri. Si tratta di sommergibili senza pilota, gestiti da una sala di controllo sulla nave madre, legati attraverso cavi lunghi mille metri.

Gli aerei, tra cui un P8 Poseidon equipaggiato con rilevamento subacqueo, stanno setacciato dall’alto anche con l’ausilio delle boe sonar sganciate nell’Atlantico, in grado di “ascoltare” – attraverso uno strumento calato a circa mille metri di profondità collegato con un cavo alla boa in superficie – eventuali rumori fino a profondità compatibili con i fondali oceanici in quel punto e in grado di ritrasmetterli. Gli stessi strumenti, definiti di ascolto “passivo”, vengono utilizzati dalle forze militari anche per dare la caccia ai sottomarini ‘nemici’. Proprio così si è arrivati a sperare per i “tocchi” ogni 30 minuti avvertiti nelle scorse ore, una ricerca che però al momento ha dato esito negativo. Se e quando i soccorritori avranno una certezza sulla posizione del Titan, arriverà l’ora di far entrare in azione i Rov telecomandati. I veicoli a guida remota verrebbero calati e, arrivati al sommergibile, sarebbero in grado di agganciarlo.

A quel punto inizierebbe l’operazione di recupero, che può seguire due strade. Complicate, è bene specificarlo. Lo scorso anno, un aereo Usa caduto nel mare Cinese meridionale a oltre 3.700 metri di profondità venne portato in superficie grazie a un Rov di ultima generazione che sostanzialmente imbracò il velivolo collegandolo a un gancio di sollevamento attaccato a una gru presente su una nave di soccorso. L’alternativa è tentare l’aggancio e risalita attraverso gli stessi Rov. Il ritorno in superficie è estremamente complicato non solo dal punto di vista tecnico ma anche per i rischi legati alla salute dei 5 a bordo del Titan. Per questo sul posto sta convergendo anche una nave della Marina Usa che ha a bordo sei camere iperbariche, fondamentali per la decompressione e quindi per stabilizzare i passeggeri nel caso in cui dovessero essere salvati quando a bordo sarà rimasto ormai poco ossigeno.

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