Nei giorni in cui in Italia si discute la “creazione” di un reato universale per la maternità surrogata o gestazione per altri – già vietato in Italia – la procura di Padova impugna 33 atti di nascita di bambini con due madri. Un ufficio giudiziario che – come ricorda il sindaco di Padova – Sergio Giordani – non aveva mai inviato controdeduzioni al comune che informava dell’iscrizione all’anagrafe dei bambini e delle mamme. Anche perché nei casi di coppie di donne non c’è ricorso alla gpa. E così quella della procura di Padova appare una violenza giuridica senza precedenti perché – a differenza delle impugnazioni notificate dalla procura di Milano su cui a breve deciderà il Tribunale di Milano – anche retroattiva (dal 2017 in poi) e perché non così saldamente ancorata alla giurisprudenza. Abbiamo chiesto alcune riflessioni sull’argomento a Marilisa D’Amico, ordinaria di Diritto costituzionale e Giustizia costituzionale alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano e prorettrice con delega alla Legalità, Trasparenza e Parità di Diritti, che già a marzo aveva spiegato con quelli dei figli nati da coppie omogenitoriali fossero “diritti negati”.
La procura di Padova ha impugnato 33 atti di nascita di bambini figli di coppie formate da due donne sostenendo che nel diritto italiano non esiste la seconda mamma. Molti hanno definito questi provvedimenti scioccanti, lei cosa ne pensa?
Si tratta in effetti di provvedimenti violenti rispetto a famiglie riconosciute fin d’ora anche dalle autorità italiane e che hanno portato avanti un progetto genitoriale per moltissimi anni.
Alcuni richiamano a sproposito l’ormai famosa sentenza a sezioni Unite della Cassazione dello scorso 30 dicembre. Quel verdetto riguardava l’atto di nascita di un figlio di una coppia di uomini e si faceva specifico riferimento alla gestazione per altri (o maternità surrogata) che è vietata in Italia. Che margini ci sono perché questo verdetto non influisca anche sulle coppie formate dalle mamme che evidentemente non fanno ricorso alla gpa?
Sono d’accordo. Quella sentenza riguardava una vicenda completamente diversa e cioè la possibilità di due uomini di ricorrere alla maternità surrogata che, come affermato anche dalla Corte costituzionale, pone diversi problemi rispetto alla dignità della donna. Nel caso del desiderio di due uomini di diventare genitori attraverso la maternità surrogata si pone un problema di bilanciamento di principi costituzionali rispetto al principio fondamentale riconosciuto dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 162 del 2014. Con quella decisione, la Corte ha affermato in modo lapidario che un diritto fondamentale, come quello alle giuste esigenze della procreazione, non può essere limitato se non esiste un altro diritto fondamentale da bilanciare. Nel caso della procreazione di due donne questo diritto non esiste.
La Procuratrice di Padova facente funzioni, Valeria Sanzari, ha dichiarato: “Io sono tenuta a far rispettare la legge e con l’attuale normativa non posso fare altro”. Ma è proprio così?
Intervenire retroattivamente su una situazione consolidata negli anni quando si ha a che fare con diritti fondamentalissimi della famiglia e con l’interesse del minore è molto discutibile.
Sempre Sanzari parla di “costante giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia” richiamando i compiti di vigilanza sullo stato civile attribuiti dal legislatore alla Procura della Repubblica, e afferma di ritenere “illegittima l’indicazione nell’atto di nascita in questione del nominativo” della seconda mamma (non biologica) “quale secondo genitore”. Qual è la sua riflessione?
La giurisprudenza della Cassazione non è affatto costante su questi aspetti. Alla sentenza di dicembre se ne può contrapporre almeno una che, in senso opposto, sempre in merito a coppie formate da persone dello stesso sesso, afferma che la trascrizione dell’atto di nascita del figlio di due donne concepito mediante PMA (Procreazione medicalmente assistita, ndr) in Spagna non viola l’ordine pubblico (Corte di Cassazione, sez. I civ., sent. 19599/2016). Quanto appena riportato evidenzia la non unanime lettura interpretativa del quadro ordinamentale vigente e si pone coerentemente in linea con la tutela del best interest del minore, riconosciuta sia a livello costituzionale sia sovranazionale. La tutela del nucleo familiare è peraltro tutelata dalla giurisprudenza costituzionale che ha più volte ribadito che la Costituzione non riconosce una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti. L’allontanamento del minore dal nucleo familiare è quindi esempio emblematico della violazione dei diritti del minore, anzitutto del suo best interest.
Nel primo provvedimento notificato si legge anche che la “giovane età della bambina (6 anni, ndr) esclude che la modifica del cognome come richiesto possa avere ripercussioni sulla sua vita sociale”. Questo argomento utilizzato come si concilia con la tutela del benessere di un minore protetto dalla Costituzione?
Questa affermazione mi lascia molto perplessa perché la stessa Corte costituzionale ha di recente riaffermato in modo perentorio, nella pronuncia sul patronimico del 2021, che il cognome è un aspetto fondamentale dell’identità personale e rappresenta un diritto inviolabile.
La via della stepchild adoption – che viene indicata da molti per cercare una soluzione – però è un percorso molto lungo e molto dispendioso. Come si concilia questo strumento con il principio di uguaglianza?
È un percorso lungo e incerto che non sana la situazione determinata con questi provvedimenti, le cui ripercussioni sui minori coinvolti rimangono molto gravi.