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L’ambiguità del governo tedesco sulla Cina: la Spd attenta alle pressioni degli industriali, i Verdi stanno con gli Usa

Il rapporto con la Cina è il nuovo tormento del governo tedesco, diviso al suo interno e stritolato dalle pressioni esterne. Da una parte gli interessi di gran parte degli industriali, che in caso di rottura con Pechino temono il tracollo di un’economia già in difficoltà. Dall’altra le pressioni di Washington, che da anni vuole arginare la potenza commerciale cinese, con conseguenti tensioni diplomatiche. È in questo contesto che fra il 19 e il 20 giugno a Berlino si sono tenuti una serie di vertici intergovernativi proprio fra Germania e Cina. Il primo ministro cinese Li Qiang ha incontrato il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier e il cancelliere Olaf Scholz. Il vertice arriva a distanza di una settimana dalla presentazione della prima strategia di sicurezza nazionale nella storia tedesca, all’interno della quale la Cina ha un ruolo assolutamente centrale. La presentazione del documento era attesa da tempo, resa necessaria dalla “svolta epocale” che l’invasione russa dell’Ucraina del febbraio 2022 ha rappresentato per la politica estera europea e in particolare per la Germania, ma è stata ritardata proprio a causa di alcune divergenze all’interno del governo. Non sul fronte russo, ma appunto su quello cinese.

Al riallineamento del rapporto con Pechino è dedicata la parte più saliente della strategia. Nel documento, il partner cinese viene accusato di ambire a un ruolo sempre più minaccioso e predominante nella regione indo-pacifica, venendo però definito allo stesso tempo come “partner“, “rivale sistemico” e “concorrente“. Un’ambiguità che riflette i rapporti tesi e divisi all’interno del governo tedesco in merito all’atteggiamento da tenere nei confronti della Cina. I Verdi, che controllano ministeri fondamentali come gli Esteri e l’Economia, sono da sempre più vicini alle posizioni degli Stati Uniti e inclini a un disaccoppiamento dall’economia cinese per salvaguardare la sicurezza delle catene di approvvigionamento. I socialdemocratici, con in testa il cancelliere Scholz, mantengono invece una posizione più realista, di dialogo e collaborazione, riconoscendo i rischi che comporterebbe un ridimensionamento dei rapporti economici con la Cina. La Germania è il primo partner europeo per Pechino, con un interscambio di 300 miliardi di euro. Scholz, consapevole del valore economico che questo rappresenta, cerca di mantenere posizioni più caute. Il cancelliere ha infatti menzionato una generica “minimizzazione del rischio” (derisking), affermando che “la Germania non ha alcun interesse in un disaccoppiamento economico con la Cina”.

Le fibrillazioni interne alla Germania non si consumano solo sul piano politico, ma anche sul versante economico e industriale. Come riportato dall’agenzia Reuters, molti industriali tedeschi negli ultimi mesi hanno manifestato le proprie insofferenze in merito a una revisione dei rapporti economici con il Dragone, “avvisando dei rischi potenziali nel ridurre o interrompere le connessioni economiche con la seconda economia del mondo”. Grandi aziende cruciali per l’andamento di alcuni settori dell’economia tedesca come Volkswagen, BASF o Bmw, hanno infatti una dipendenza economica enorme con la Cina. Per questa ragione un “disaccoppiamento sarebbe impensabile per la maggior parte delle industrie tedesche”. La ministra degli Esteri verde Annalena Baerbock ha cercato di calmare le acque affermando che il governo sta conducendo delle “interlocuzioni intense” con le aziende che operano in Cina, che stanno portando a “simili conclusioni e convergenze” a riguardo. Secondo l’Handelsblatt, il principale quotidiano economico tedesco, vari mesi di dibattito interno hanno quantomeno condotto all’accordo fra le associazioni di industriali e il governo sulla necessità di individuare un “nuovo modo di trattare con la Cina” affinché “l’economia interna riduca la propria dipendenza con gli stati autoritari”, anche con corposi investimenti pubblici, come dimostra ad esempio l’intervento governativo di sostegno per 10 miliardi di euro per la società statunitense Intel che ha investito sulla produzione di chip in Germania.

Sui rapporti fra Germania e Cina pesa anche molto la questione della vendita del porto di Amburgo alla compagnia di Stato cinese COSCO, dopo che lo scorso aprile il Bsi – l’Ufficio federale tedesco per la sicurezza informatica – ha classificato da inizio 2023 il terminal Tollerort come un’infrastruttura critica. La vendita del porto di Amburgo è stata ostacolata da più parti ma difesa da Scholz in persona, che fu sindaco di Amburgo dal 2011 al 2018, dopo mesi di trattative interne. La Hhla, società tedesca di logistica e trasporti, ha annunciato che la firma definitiva sull’accordo è stata raggiunta proprio mentre il primo ministro cinese si trova a Berlino. Alla compagnia cinese andrà il 24,99% delle quote di partecipazione container terminal Tollerort del porto di Amburgo.