“Quando è arrivata la diagnosi del tumore - racconta la scrittrice in una lunga intervista a Vanity Fair - era una buona notizia, perché avevo ancora tempo, perché non sarei morta in terapia intensiva"
“Io sono arrivata in ospedale in fin di vita. In ambulanza, in pronto soccorso e poi subito in sala operatoria. Era il secondo lockdown, Capodanno del 2021. Ero in condizioni di semi incoscienza, convinta di morire e coi medici convinti che sarei morta”. Invece no. La scrittrice Michela Murgia si risveglia. Ed è lì, in quel momento in cui apre di nuovo gli occhi sulle cose e su se stessa, che scopre di avere un tumore grave. “Quando è arrivata la diagnosi del tumore – racconta in una lunga intervista a Vanity Fair – era una buona notizia, perché avevo ancora tempo, perché non sarei morta in terapia intensiva”.
Svelarsi, dalle più profonde e intime sensazioni di oggi, di fronte a una malattia che non le lascia scampo, fino al suo passato di ‘bestiolina felice’ ma con un padre padrone che non ha mai perdonato, non deve essere stato facile. Diversi i momenti bui e tante le gioie: il primo amore, il legame con i figli, la costruzione di una famiglia queer, la sua idea di felicità. Il numero speciale del magazine in questa occasione da lei stessa diretto, la ritrae a tutto tondo, come una donna senza paura. Che si apre senza reticenze. Ed è sempre di buonumore nonostante tutto. “Da un lato l’amore che sperimento della mia famiglia è una condizione di beatitudine forte – spiega – io mi sveglio pensando: che culo! O meglio: ci sono dei momenti di ateismo in cui dico che culo e momenti in cui dico grazie Dio! È un dono fantastico, sto facendo le cose che volevo, sto amando le persone che ho voluto, ho scritto i libri che ho voluto“.
Fra gli amori c’è la famiglia. Ma una famiglia non convenzionale, ibrida, anzi queer, come lei ama definirla: “L’idea della famiglia queer è quella di fondare le sue relazioni sullo ius voluntatis, sul diritto della volontà. Perché la volontà deve contare meno del sangue?”. Da chi è composta la famiglia di Murgia? “Non voglio nominare tutti perché non tutti hanno la stessa attitudine all’esposizione”, risponde. E poi specifica: “Ci sono quattro figli, ciascuno di loro si crede figlio unico rispetto a me. Sono entrati nella mia vita in tempi diversi. Da Raphael, il più piccolo, agli altri. Quando ha iniziato a costruire la sua famiglia queer? “E’ successo. E’ cominciato dai figli. Alessandro che ho incontrato quando aveva 16 anni. E Francesco che ne aveva 18. Ti chiedono loro, ti dicono fammi stare”.
I rapporti familiari basati sulla volontà di stare mutano, cambiano nel tempio, si invertono. Per la scrittrice e attivista la queerness è la “pratica della soglia”, si basa su relazioni di soglia, è uno spazio da cui è possibile entrare e uscire continuamente. E fa l’esempio di Alessandro: “Io non so più se chiamarlo figlio. Oggi è un amico. Ma per molti versi un maestro. Dentro questa famiglia tutto è cambiato, i ruoli ruotano. Nella famiglia tradizionale questo non avviene perché è il sangue che li determina”. bIl ricordo corre indietro, alla sua infanzia e all’immagine del padre, di cui Murgia ha parlato spesso come di un uomo violento: “Mio padre, ovvero la persona che avrebbe dovuto prendersi cura di me, ha tradito il suo mandato”, rivela. E aggiunge: “Sono stata molto fortunata perché ho trovato un altro padre, ciò mio zio”. Insomma, quello dei genitori è un ruolo che può non coincidere con le persone che hanno generato. La coppia tradizionale? Su questo punto Murgia è molto disincantata: “Il modello coppia regge finchè non succede un vero casino: quando uno dei due si ammala, o va in depressione, o perde il posto, o ha una crisi l’altra persona deve reggere tutto il peso di questo squilibrio. A volte può farlo, altre no”.
Quindi? “La queer family è un modo di gestire meglio il peso di tutte queste cose”. Ecco, poi Murgia racconta di questi figli che hanno scelto di stare: “Quando siamo partiti io e il mio futuro marito Lorenzo per l’Orient Express, la sera prima siamo andati da mio figlio Raphael che vive a Vicenza. Raphael ha cucinato per me e durante la cena gli ho detto: questa è la situazione. Io ho le metastasi già al cervello”. Il suo desiderio espresso è stato di stare tutti e quattro insieme per un bel po’ durante l’estate, per dargli modo di conoscerla meglio. “Molto volte la felicità ti passa accanto e tu non capisci che quello è un momento felice”. Murgia si dice fortunata ad avere avuto un lavoro che le ha permesso di capire che il tempo che stava vivendo era felice. E conclude: “Quanti possono dire ‘Tutto quello che volevo fare, l’ho fatto’? Se oggi mi dicessero ‘Cos’è che vuoi ancora fare?’ L’ultima cosa è andare in Corea del Sud a incontrare i Bts (fra gli artisti più seguiti in Corea del Sud, ndr). Probabilmente non ci andrò, ma i Bts verranno a me. Non si può sapere. È l’ultimo desiderio dei desideri, come nella Storia infinita quando ti rimane l’ultimo da esprimere e non trovi più la strada per tornare a casa. È forse giusto che rimanga non soddisfatto“.