di Antonio Carbonelli*

Il liberismo economico, teorizzato da Mises nel 1922 e Hayek nel 1960 e propugnato oggi dalla Mont Pélerin Society e dalle istituzioni che a essa più o meno direttamente si connettono, mira ad arricchire chi ha già di più e a esasperare le diseguaglianze patrimoniali, invece che a mitigarle, attraverso tre vie persino sconcertanti nella loro semplicità: riduzione della remunerazione del lavoro, per trasferire una parte maggiore dei ricavi ai profitti; interventismo statale in favore di alcuni potentati economici; e distruzione graduale e progressiva delle voci di spesa ordinariamente più pesanti negli bilanci degli stati: scuola pubblica, sanità pubblica e sistema pensionistico pubblico, per ridurre la tassazione a chi ha di più.

Di questi aspetti, ovviamente, si parla poco; e si deve parlare poco, soprattutto in questi termini: l’opinione pubblica va sviata dai temi più importanti che la riguardano, per impedire il dibattito sugli strumenti di diseguaglianza patrimoniale.

Per quanto riguarda le pensioni, in particolare, la L.335/95, cosiddetta legge Dini, che i partiti di sinistra non avevano lasciato approvare al primo governo Berlusconi, ha introdotto in Italia il calcolo delle pensioni secondo il regime contributivo, propugnato da Hayek nel 1960, i cui costi per i pensionati in termini di riduzione dei trattamenti pensionistici non si sono ancora apprezzati in pieno. In aggiunta all’introduzione del sistema contributivo, due anni dopo, la legge finanziaria 1998 esclude per un anno l’adeguamento al costo della vita delle pensioni superiori a cinque volte il minimo Inps. Norma salvata dalla Corte costituzionale con la sentenza 372/98.

Altri dieci anni dopo, la legge finanziaria 2008 esclude per un anno l’adeguamento delle pensioni allora superiori a otto volte il minimo Inps. Quattro anni dopo, la legge finanziaria 2012 esclude per due anni l’adeguamento delle “pensioni d’oro”: quelle superiori a 3 volte il minimo Inps, 1.500 euro al mese. La Corte costituzionale, questa volta, dichiara l’illegittimità costituzionale della norma.

Ventuno giorni dopo la pronuncia della Corte costituzionale, il governo Renzi pone nel nulla la decisione, riformulando leggermente la norma appena dichiarata incostituzionale, e la Corte costituzionale, con la sentenza n.250/17, gliela tiene buona, ritenendo che non vi sarebbe stata violazione del giudicato costituzionale, perché la nuova norma prevedeva una modulazione diversa rispetto a quella dichiarata incostituzionale poco prima.

Altri tre anni dopo, la legge di bilancio 2019 esclude per tre anni l’adeguamento delle pensioni superiori a quattro volte il minimo Inps e introduce riduzioni ulteriori per cinque anni per le pensioni superiori a complessivi € 100.000 lordi annui. Si torna davanti alla Corte costituzionale. La sentenza n.234/20 dichiara non fondate le questioni di costituzionalità per le pensioni fino a nove volte la pensione minima: ma dichiara l’illegittimità costituzionale della norma per le pensioni superiori a complessivi € 100.000 lordi annui, per una durata superiore ai tre anni.

La motivazione è che risulta incostituzionale una logica di stabilità, misure tendenzialmente permanenti, o comunque di lunga durata, e la frequente reiterazione di misure intese a paralizzare il meccanismo di adeguamento.

Finisce tutto qui? Certamente no. Altri quattro anni dopo, la legge di bilancio 2023 esclude di nuovo, questa volta per altri due anni, l’adeguamento, con una progressione molto simile a quella degli anni 2019-2021. Dunque, l’adeguamento del potere d’acquisto delle pensioni al costo della vita, già limitato per gli anni 2019-20-21, ora viene limitato anche per gli anni 2023-24: cinque anni quasi consecutivi, eccettuato solo il 2022.

E si noti bene: in un periodo di inflazione che ha rialzato la testa. Secondo le stime preliminari dell’Istat, nel mese di maggio 2023 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, registra un aumento dello 0,3% su base mensile e del 7,6% su base annua, da +8,2% del mese precedente.

S’è dunque entrati in quella logica di stabilità, in quelle misure tendenzialmente permanenti, o comunque di lunga durata, e in quella frequente reiterazione di misure intese a paralizzare il meccanismo perequativo, che la Corte costituzionale ha rilevato come illegittime: chi ha scritto la legge di bilancio 2023 se ne è infischiato dei paletti che erano stati posto dalla Corte costituzionale. Ma di queste cose nessuno parla.

*Avvocato giuslavorista e filosofo a Brescia

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