Era bellissima Roma 40 anni fa, sempre con quell’aria da Suburra ma godibile e con un fascino ammazzato dai tempi e dall’incuria. La zona del Vaticano, poi, era maestosa e trasudava la potenza di quello Stato sotto la cui ombra il 22 giugno sparì Emanuela Orlandi, giovane cittadina vaticana, spensierata flautista quindicenne: da 40 anni la famiglia cerca la verità, senza dare tregua alla propria angoscia.
In occasione di questa ricorrenza era attesa la nascita della Commissione parlamentare d’inchiesta, percorso avviato di gran lena, poi via via depotenziato: approvata la legge alla Camera, tutto è stato frenato nel passaggio al Senato dove si sta andando avanti lentamente – viene da pensare che forse non si arriverà alla fine. Comunque, se accadrà, sarà un organismo destinato a lavorare un solo anno: troppo poco per una vicenda resa intricata da silenzi e tanti depistaggi. Del resto, davvero si può immaginare che una Commissione che dovrà entrare nel cuore di uno scandalo vaticano, con tutto il garbo possibile, potrebbe agevolmente lavorare in pieno anno giubilare (2025)?
Il punto è che la massima autorità vaticana ha dato chiari segnali di voler chiudere la questione: papa Francesco ha avviato un processo nel quale la nomenclatura vuole difendere se stessa. La verità sì, ma con cautela, senza far venire giù nulla: ‘la verità la diciamo noi, non è che si possa appaltarla ad altri organismi’.
Evidentemente questo è l’animo diffuso nell’oltre Tevere e che ha causato una scena mai vista prima: di recente in Senato la maggioranza ha chiesto audizioni informali alle autorità giudiziarie vaticane e italiane, allo scopo di evidenziare una presunta interferenza di una commissione parlamentare. Ebbene in quella occasione il promotore vaticano Alessandro Diddi, che ha in mano il fascicolo con tutte le carte vaticane sulla vicenda di Emanuela Orlandi, ha detto che una attività d’inchiesta parlamentare rappresenterebbe una “intromissione nelle indagini”: una affermazione audacissima, fatta da una autorità di uno Stato estero, al limite della rottura dei patti concordatari.
Tutto è stato alla fine contenuto, non si è andati oltre nella polemica sollevata dalle opposizioni, il clima continua ad essere laborioso, gli equilibri non sono stati rotti. Dal canto suo, il capo dei pm capitolini, Francesco Lo Voi, in quella occasione, si è invece detto preoccupato della “possibilità di offrire palcoscenici, ulteriori palcoscenici a qualcuno che di qualche palcoscenico in passato ha fatto uso persino per usi diversi da quelli della giustizia”. Mentre Pignatone, capo del Tribunale vaticano, ha detto di sottoscrivere le affermazioni di Diddi e Lo Voi. Punto.
Si raffreddino dunque gli entusiasmi parlamentari.
Il clima si era già capito dopo la controversa questione legata all’audio in cui si parla di Wojtyla e delle sue incursioni notturne tra le strade della capitale: una vicenda che non porta novità al caso; avvertita, non a torto, come una provocazione dentro il Vaticano (ma chi ha interesse a suscitarla, se non qualcuno all’interno?), tanto che anche Francesco è dovuto intervenire parlando “di illazioni offensive e infondate”.
Alla fine quella è stata una occasione per contenere la volontà di rimuovere i segreti vaticani accelerata dal pontefice attuale. È vero che anche il precedente ha dato il suo contributo alla formazione di orientamento: a differenza di Giovanni Paolo II, molto più freddo sul tema, Papa Ratzinger fu deciso e chiaro nel voler affrontare il grande e doloroso tema della pedofilia: lì potrebbero essere sepolti i segreti della scomparsa di Emanuela Orlandi e della giovane Mirella Gregori, attorno ai quali si sarebbero innestati potenti e violenti ricatti e il vortice di depistaggi e silenzi, ai quali va aggiunta la scia di morti dei criminali romani legati alla Banda della Magliana. Questo è lo scenario.
Avremo la verità? Forse sì, forse un pezzo, come accade nel nostro Paese dove i poteri occulti si proteggono. Intanto Pietro Orlandi continua a girare per le strade di Roma: oggi ha organizzato una manifestazione per ricordare la scomparsa della sorella. Doveva tenersi in Campidoglio ma poi la piazza è stata negata. L’idea non piaceva oltre Tevere.