Il Ponte Morandi è caduto un anno e mezzo prima. Siamo a inizio 2020, qualche settimana dopo il crollo di una parte della volta della galleria Bertè, sulla A26. Mentre Autostrade prepara la linea di difesa generale, pensando al cosiddetto vizio occulto del Ponte Morandi, ai vertici del gruppo va in scena uno scontro frontale che in esclusiva Il Fatto Quotidiano può farvi ascoltare in questa nuova intercettazione.
Gianni Mion, amministratore delegato di Edizione, la cassaforte di famiglia attraverso cui i Benetton controllano Atlantia, dice: “Il Morandi aveva un problema di progettazione. Quando abbiamo comprato la società Autostrade abbiamo detto che ci stava bene così come stava. Siccome lo sapevamo che c’era quella cosa ed è stata ampiamente discussa e presentata in molte occasioni, bisognava semplicemente, come nostra responsabilità, dire: ‘Ragazzi, rifacciamo sto ponte’”. Mion parla al telefono con Sergio Erede, uno dei più importanti avvocati italiani, consulente legale del gruppo: “Lo sapevamo?”, chiede Erede. “Certo che lo sapevamo – risponde Mion – è stata fatta una riunione, una induction alla presenza di tutti i consiglieri d’amministrazione di Atlantia, gi amministratori delegati, il direttore generale, il management, e hanno spiegato che quel ponte lì aveva una difficoltà di progettazione (…) Quando ho chiesto all’ingegner Castellucci e ai suoi dirigenti, fra cui il direttore generale Mollo, chi è chi ci autocertifica la stabilità, mi è stato risposto che ce lo autocertifichiamo”. Per la prima volta è possibile sentire la voce diretta dei protagonisti in quei giorni concitati (lo stesso Mion, considerato il supertestimone dell’accusa nel processo di Genova,ha ricostruito in aula alcuni dei passaggi che questo audio svela).
In quei giorni, l’allora premier Giuseppe Conte agita la revoca delle concessioni autostradali. Il governo Conte II (M5S, Pd e Iv) ha due strade davanti a sé. La prima è indicata dall’articolo 9 della convenzione che regola i rapporti tra lo Stato e la concessionaria ed è la risoluzione per “grave inadempimento”. È una tesi che ha bisogno di essere dimostrata, e dunque apre la porta a un contenzioso legale. Per questa ragione, è convinto l’avvocato Sergio Erede, questa strada è improbabile: la concessione di Aspi, secondo Erede, sarebbe blindata.
“Metti pure che siamo noi i responsabili del crollo del ponte, oggi circostanza non dimostrata – argomenta Erede – l’unica prova che oggi c’è è che la nostra manutenzione non fosse state of the art, può darsi. Non c’è la prova che questo eventuale deficit di manutenzione sia la causa del crollo”. “Si vabbè queste sono cazzate”, risponde a caldo Mion.
Per Erede, insomma, il vero rischio per la società verrebbe da un altro articolo della convenzione, il 9-bis, ovvero la risoluzione unilaterale del concedente. Questa soluzione era stata blindata fra il 2007 e il 2009, a cavallo dei governi Prodi e Berlusconi, con una clausola capestro, rimasta per anni secretata come il più torbido dei segreti di Stato: in caso di risoluzione unilaterale del concedente, anche in caso di responsabilità della concessionaria, lo Stato avrebbe dovuto sborsare un risarcimento per tutti i guadagni mancati. A conti fatti, al momento del crollo del Ponte Morandi, circa 23 miliardi di euro. Una norma per molti giuristi talmente favorevole di una parte, quella privata, da essere incompatibile con la disciplina generale del codice degli appalti.
A dicembre 2019 il Movimento Cinque Stelle, avversato da parte dei partiti della stessa maggioranza del Conte II, in particolare da Italia Viva, aveva inserito nel decreto Milleproroghe un provvedimento che sforbiciava in modo significativo quegli indennizzi, riducendoli al valore dei beni attuali, secondo le stime prevalenti circa 7 miliardi di euro. Un provvedimento che agita i piani alti del gruppo Atlantia. Prosegue Erede: “Chieppa (il riferimento, presumibilmente, è a un incontro avvenuto con Roberto Chieppa, segretario generale della presidenza del consiglio dei ministri, ndr) ha incontrato Tomasi e gli ha detto che il 9 bis non cambia”.
Mion, invece, è più convinto che Autostrade rischi proprio la risoluzione per grave inadempimento, perché “è tutto a rischio” e “può succedere di tutto”. Durissimi i giudizi dello storico manager sui Benetton: “Adesso loro hanno individuato l’inettitudine della famiglia Benetton, però la famiglia Benetton nella sua stupidità può dire: mi sono fidata di Castellucci, di Tomasi, ma anche dei controlli che dovevano esserci. Siccome stiamo parlando di una rete vecchissima, che ha mediamente più di sessant’anni, praticamente è da rifare tutto”.
Come è andata a finire ormai è noto: non c’è stata nessuna revoca della concessione. Il governo ha liquidato Atlantia, la holding controllata dai Benetton, con oltre 8 miliardi di euro e, attraverso la Cassa depositi e prestiti, si è ricomprato Autostrade per l’Italia, accollandosi i debiti e le cause legali. Alla fine si è trovato a chi far pagare quel prezzo: alla collettività.