La Conferenza internazionale sul governo internazionale dei diritti umani svoltasi a Pechino il 14 e 15 giugno, cui ho avuto la possibilità di partecipare, segna indubbiamente un momento storico, caratterizzato dal crescente protagonismo della Cina nel contesto della tendenza a nuovi equilibri effettivamente multipolari in seno alla comunità internazionale.
L’occasione per la Conferenza è stata offerta dal 30esimo anniversario della Dichiarazione di Vienna sui diritti umani, che rappresentò a sua volta un passo avanti importante sulla strada dell’affermazione dei diritti umani intesi nella loro universalità e indivisibilità, superando le artificiose contrapposizioni tra diritti civili e politici da un lato e diritti economici, sociali e culturali dall’altro, per non parlare dei diritti umani cosiddetti di nuova generazione, che ogni tanto qualcuno si affanna a teorizzare, cimentandosi nell’ennesima scoperta dell’acqua calda. È infatti evidente come il diritto alla pace, quello all’ambiente o quello all’informazione costituiscano altrettanti elementi fondamentali e imprescindibili del quadro. Invero difficile appare realizzare diritti umani in un pianeta devastato da guerre, degrado climatico e ambientale ed opacità crescente del potere, quale è quello nel quale siamo costretti attualmente a vivere.
E’ importante che dei diritti umani si parli e che ad essi si ispiri l’azione concreta della società civile e dei governi. Di più, la promozione dei diritti umani in tutte le loro dimensioni deve costituire l’asse del governo planetario cui occorre puntare. Esemplare l’azione svolta al riguardo dal governo cinese che non si è concretizzata in mere azioni propagandistiche o anche guerre per la loro “esportazione”, come nel caso dei governi occidentali, ma nell’abolizione della povertà per centinaia di milioni di persone, che si accompagna a una politica estera ispirata al rigoroso rispetto del principio di non intervento negli affari interni altrui e alla promozione della pace per tutti, come si vede in questi giorni a proposito del conflitto ucraino, ma anche quella dei diritti dei popoli oppressi, come i Palestinesi. Per questi motivi la Cina è oggi il Paese del futuro. La gente lavora sodo ma è animata dalla consapevole dell’esistenza di obiettivi e benefici comuni. Tutto l’opposto dell’Italia, dove ormai lo spazio pubblico e la vita politica sono asfittici ambiti popolati da caricature ridicole, come il “leader mondiale“ che ci ha lasciato una settimana fa, accompagnato dal servile encomio di decine e decine di personaggi senza dignità e senza intelligenza che ha avuto modo di foraggiare generosamente nel corso degli anni.
L’Italia insomma è sempre più un Paese di gente ridicola ma priva di senso del ridicolo, il che spiega anche la resistibile ascesa della signora Meloni e e della sua compagnia di giro di guitti politici riciclati che pure, in competizione presto sempre più accanita tra di loro, totalizzano il consenso di un settore tutto sommato minoritario della società italiana. Anche la democrazia in Italia è ridotta a una squallida farsa, come dimostrato dal numero sempre più ridotto di persone sempre meno motivate che accorrono ai periodici riti elettorali. Anche da questo punto di vista la Cina rappresenta un modello superiore e vincente, dato il funzionamento del Partito comunista colle sue decine di milioni di militanti e il suo rapporto con l’immenso popolo cinese, per non parlare degli altri partiti, i quali, sia pure minoritari, sono rappresentati all’interno di organismi consultivi che esercitano un ruolo non meramente decorativo.
Non c’è da stupirsi quindi se in Cina le scelte politiche sono effettivamente basate sull’interesse del popolo, mentre in Occidente e soprattutto in Italia che ne è il triste e indegno fanalino di coda, tali scelte sono direttamente funzionali agli interessi di un ristretto gruppo di capitalisti cui della vita e del benessere delle persone non può fregare di meno, tanto è vero che si preparano alla fine del mondo e della civiltà che rappresenterà una conseguenza inevitabile del loro dominio di classe. Tutta la classe dirigente occidentale è costituita in misura crescente da tristi pagliacci che non rispondono certamente ai popoli ma al potere economico. Il quale continua ad accumulare ricchezze spropositate vendendo armamenti, esasperando la crisi ambientale e climatica, monopolizzando i vaccini e in altri modi antisociali.
Ne risulta una crisi profonda della convivenza civile che sembra preludere alla totale disintegrazione della società, attestata anche da episodi solo apparentemente minori come gli omicidi stradali compiuti per puro esibizionismo da persone apparentemente irrecuperabili a ogni prospettiva di vita dotata di senso. Sempre che dal seno stesso delle corrotte e disuguali società occidentali non escano finalmente forze politiche e sociali che sappiano costituire un’alternativa al triste sfacelo attuale. Ma non sarà un processo facile o indolore.