Tra l’ex deputato leghista Gianluca Pini e l’ex direttore dell’Agenzia delle dogane Marcello Minenna esisteva un “proficuo rapporto di collaborazione” che ha portato all'”asservimento della funzione pubblica” del primo “a favore degli interessi privati” del secondo. Questo sostiene il gip di Forlì nell’ordinanza che ha applicato a entrambi la custodia cautelare agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione a proposito di un maxi-appalto per la fornitura di mascherine da parte dell’azienda di Pini. I rapporti tra i due, si legge, “si avviavano nel gennaio 2019”: “I due soggetti avevano occasione di conoscersi allorché il direttore dell’Agenzia delle dogane cercava in Pini un valido interlocutore per esercitare una penetrazione nel settore politico di appartenenza, facente riferimento a politici del partito Lega al quale lo scesso Pini era legato per la precedente esperienza da parlamentare e per i rapporti inalterati con molti esponenti di tale formazione politica”. Se Minenna cercava Pini allo scopo “di vedere confermati i propri incarichi o di ottenerne di più prestigiosi, il politico “assecondava queste aspettative consapevole dell’importanza della funzione ricoperta dal Minenna e nella prospettiva di ottenere da quest’ultimo ciò che gli sarebbe potuto servire nel prossimo futuro”.
In particolare, in alcune conversazioni intercettate, “Minenna aveva palesato a terzi l’importanza del Pini perché braccio destro di Giorgetti (Giancarlo, attuale ministro dell’Economia, ndr), uomo politico di primo piano all’interno del partito Lega, che gli sarebbe servito per accreditarsi presso tale formazione politica nella speranza di una progressione di carriera all’interno delle istituzioni dello Stato con particolare riferimento a ipotesi di carriera ministeriale o quale presidente della Consob“. In questo senso, il dirigente pubblico chiariva al politico “che avrebbe in seguito saputo a chi essere grato, facendo cioè capire esplicitamente la propria concreta capacità di remunerare il favore ricevuto”. “L’accreditamento del Minenna” con la Lega, scrive ancora il gip, si concretizzava anche “mediante la sollecitazione della stipula di accordi o protocolli fra l’Agenzia delle dogane e alcuni governatori” del Carroccio, “allo scopo di far ottenere a questi ultimi il consolidamento del loro stesso prestigio, e di riflesso quello della formazione politica di appartenenza”.
Ancora, “l’opera di accreditamento proseguiva con attività volta a comprimere le voci di dissenso o critiche che sorgevano sull’operato dell’Agenzia delle dogane all’interno del partito Lega o da iniziative giornalistiche”: il 6 aprile 2020, in particolare, “il Minenna lamentava con il Pini un ingiusto attacco mediatico proveniente proprio da un componente della Lega, in riferimento alle accuse rivoltegli dal deputato Paolo Tiramani in riferimnento a come l’Agenzia delle dogane avrebbe impedito lo sdoganamento delle mascherine necessarie per contrastare la diffusione della pandemia. Pini non mancava di comunicare il suo concreto interesse affinché il deputato venisse ricondotto a miti consigli (“Faccio fare subito domattina. Tiramani è un coglione”).
Le auto sequestrate – La strategia di Minenna prevedeva anche la fornitura delle auto sequestrate dalle dogane ai ministri di centrodestra, come ha riferito il suo collaboratore Alessandro Canali: “Sempre al fine di accreditarsi verso la Lega so che venne data, su espressa disposizione di Minenna, una Lexus al ministro Garavaglia e, se non ricordo male, veniva data anche un’altra auto a Brunetta e ad altri ministri attuali”. Che quello fosse il modus operandi dell’ex dirigente, peraltro, lo sapeva anche l’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco: “Enzo io sto cercando di tessere alleanze con tutti i partiti”, gli diceva Minenna in una conversazione intercettata. “Ho capito dalla distribuzione delle auto…”, rispondeva Visco, aggiungendo: “Ma a quello gli dovevi dare una Porsche? Perché dovevi dare la Porsche a quello?”. Al che Minenna rispondeva: “Perché ognuno si sceglie dal sistema l’auto che vuole”. Il riferimento è probabilmente all’auto data in uso al presidente di una società in-house della regione Trentino. L’assegnazione, quella come altre, era già oggetto di attenzione anche dello stesso ministero del Tesoro, tanto da essere al centro di una relazione di 121 pagine inviata lo scorso anno dal Mef alla Corte dei Conti per le “valutazioni di competenza”.