Gli ex membri togati del Consiglio superiore della magistratura Giuseppe Marra e Giuseppe Cascini sono indagati per omessa denuncia, rispettivamente dalle Procure di Roma e di Perugia. La vicenda è quella nota dei verbali degli interrogatori resi dall’avvocato Piero Amara – ex consulente esterno dell’Eni – al pm di Milano Paolo Storari, in cui parlava dell’esistenza di una presunta loggia massonica segreta chiamata “Ungheria“, di cui avrebbero fatto parte politici, magistrati, funzionari e imprenditori. Storari, lamentando un’inerzia investigativa dei suoi capi (l’allora procuratore Francesco Greco e l’aggiunta Laura Pedio) li aveva consegnati a Piercamillo Davigo, allora consigliere del Csm. Davigo, a sua volta, nella primavera del 2020 aveva fatto girare i documenti a palazzo dei Marescialli, mostrandoli (o descrivendone il contenuto) ad almeno cinque consiglieri, al vicepresidente dell’organo David Ermini e al primo presidente e al procuratore generale della Cassazione, Pietro Curzio e Giovanni Salvi, membri di diritto. Per queste condotte l’ex pm di Mani pulite è stato condannato in primo grado a un anno e tre mesi per rivelazione di segreto d’ufficio, mentre Storari è stato assolto in rito abbreviato. Ora però gli strascichi giudiziari dello scandalo colpiscono anche due degli ex membri del Consiglio che ricevettero le carte, accusati di non aver denunciato il reato che si stava compiendo sotto ai loro occhi. Cascini, procuratore aggiunto a Roma, è indagato per competenza a Perugia, mentre su Marra, in forza al Massimario della Cassazione, procedono i pm capitolini. Al primo, esponente della sinistra giudiziaria di Area, Davigo aveva consegnato i verbali chiedendo una “consulenza” sull’attendibilità di Amara, mentre al secondo, iscritto alla corrente da lui fondata (Autonomia e Indipendenza) li aveva lasciati “in eredità” una volta decaduto dal Csm per pensionamento (ottobre 2020).
Ma perché (a quanto ne sappiamo) a finire sotto indagine sono stati soltanto Marra e Cascini, e non anche gli altri riceventi? In un colloquio riportato dal quotidiano La Verità, Marra adombra la volontà di vendetta di un collega, il giudice di Roma Nicolò Marino. Marino, ex assessore della giunta siciliana guidata da Rosario Crocetta, è il gup che a dicembre 2022 ha prosciolto Marcella Contrafatto, ex segretaria di Davigo al Csm, dall’accusa di aver calunniato l’ex procuratore Greco diffondendo i verbali. In quella sentenza il magistrato si era lasciato andare a considerazioni molto pesanti nei confronti di Cascini e di Marra. E aveva trasmesso le motivazioni alla Procura perchè valutasse di indagare entrambi per omessa denuncia, e il solo Marra – che aveva raccontato di aver distrutto le carte dopo alcune settimane – anche per soppressione del corpo di reato. Le altre personalità che avevano saputo in varie forme dei verbali, invece (Salvi, Ermini, i consiglieri del Csm Ilaria Pepe, Fulvio Gigliotti e Stefano Cavanna, il presidente della Commissione parlamentare Antimafia Nicola Morra) erano state “salvate” dallo stesso destino. Secondo Marra, citato dalla Verità, quel provvedimento è quindi “un atto ritorsivo” di Marino, che “ha denunciato alla Procura solo noi due perché non lo abbiamo votato per un incarico semidirettivo di procuratore aggiunto (a Caltanissetta, ndr)”. Inoltre, ricorda, “il dottor Cascini è stato componente della Sezione disciplinare che lo ha condannato, ragione per la quale non lo avevamo votato”, e in più era “intervenuto in plenum per dire che non poteva avere l’incarico”. Al contrario – sostiene – l’ex consigliere laico Fulvio Gigliotti, “che ha votato a favore del conferimento, non è stato denunciato”, nonostante avesse visto anche lui le carte. Nella sentenza firmata da Marino, a proposito di Gigliotti è scritto “che la sua formazione civilistica non gli consentiva di effettuare valutazioni circa la segretazione degli atti”, e che comunque “non risulta mai avere avuto autonoma disponibilità dei verbali di Amara”.
Marra, raggiunto dal fattoquotidiano.it, ha chiarito di non aver inteso rilasciare dichiarazioni pubbliche al cronista della Verità e di aver già inviato una diffida al quotidiano. Ma anche se la sua accusa a Marino è sfornita di prove, le circostanze che riferisce sono vere. Nel settembre 2021, in effetti, il magistrato è stato condannato alla sanzione della censura dalla Sezione disciplinare del Csm: il collegio, di cui faceva parte Cascini, lo ha ritenuto responsabile di “grave e inescusabile violazione di legge” e “comportamenti idonei a ledere l’immagine del magistrato” per aver “omesso”, da sostituto procuratore a Caltanissetta, “l’immediata iscrizione nel registro delle notizie di reato” di tre indagati per corruzione, tra cui l’ex assessore regionale siciliano Giovanni La Via (motivo per cui era stato anche indagato, e prescritto, per rifiuto d’atti d’ufficio). Nonostante ciò, a novembre 2022 era stato nominato a maggioranza dal Csm procuratore aggiunto, battendo con 13 voti contro nove l’altro candidato, Pasquale Pacifico. I voti di Cascini e Marra erano però andati a quest’ultimo: Cascini, in particolare, nel dibattito aveva ricordato – si legge nel verbale – “che di regola non può essere assegnato un incarico direttivo o semidirettivo a un magistrato che ha riportato una condanna disciplinare per fatti commessi nel decennio”. In questo caso, aggiungeva, la condotta “è preclusiva e di gravità tale da non consentire di derogare”. Una tesi convalidata sia dal Tar del Lazio che dal Consiglio di Stato, che per questo motivo hanno annullato la nomina di Marino (la decisione di palazzo Spada è dello scorso 4 aprile). Nemmeno un mese fa – il 31 maggio – il Csm ha ribaltato la decisione, scegliendo Pacifico all’unanimità.
Modificato da redazione web alle 17:23 del 23/06/2023