Il sommergibile Titan è imploso istantaneamente durante il percorso per raggiungere il relitto del Titanic, che giace a 3800 metri di profondità. Le cinque persone a bordo sono state dichiarate morte. Scomparso da domenica, le ricerche del Titan erano continuate anche dopo le 96 ore di autonomia di ossigeno. Fino a ieri, quando un funzionario della Guardia Costiera di Boston ha ufficializzato la tragedia. Abbiamo chiesto chiarimenti tecnici al Capitano di vascello Daniele Ruggeri Capo Ufficio Ricerca e Sviluppo presso il Reparto Sommergibili della Marina militare italiana.
Comandante, come è potuto accadere che il Titan abbia perso il contatto con la nave madre da cui è partito?
Le cause possono essere molteplici. Nell’ambiente sottomarino, per le particolari leggi fisiche che lo contraddistinguono, anche la semplice capacità di comunicare non può essere data per scontata. La perdita di contatto poteva quindi essere attribuita, almeno inizialmente, a un semplice problema del sistema di comunicazione subacquea. Col passare delle ore, tuttavia, è divenuto chiaro che la situazione era più complessa. Il ritrovamento dei rottami del Titan sul fondale marino porta a ipotizzare un cedimento strutturale dello scafo del sottomarino. Una situazione del genere si verifica quando un mezzo sottomarino raggiunge una quota più profonda rispetto a quella per cui è stato progettato o per un problema tecnico. Considerando che l’obiettivo della missione era raggiungere il fondale, dove effettivamente era stato impiegato per altre missioni in passato, possiamo escludere la prima ipotesi. A questo punto non resta che ipotizzare un problema strutturale allo scafo che ne ha comportato il collasso.
Come funziona, a livello generale, un sommergibile come il Titan?
Non sono a conoscenza dei dettagli costruttivi di questo specifico mezzo. Un sottomarino di questo tipo, in ogni caso, deve essere progettato specificatamente per operare a elevatissima profondità. Questo comporta la necessità di uno scafo in grado di resistere a pressioni molto alte. A 3.000 metri di profondità la pressione è pari a 300 Kg per centimetro quadro, per rendere l’idea è come avere 4 persone adulte sulla punta di un polpastrello. Questo significa che l’intero scafo deve sopportare una pressione enorme e, soprattutto, essere in grado di farlo ripetutamente. Nel complesso, inoltre, operare sott’acqua richiede particolari accorgimenti di sicurezza e sistemi di back-up per evitare che un singolo problema diventi fatale per il mezzo e per il suo equipaggio. Di fatto non può esserci margine di errore, poiché problemi anche banali in un altro contesto, a bordo di un sottomarino possono avere conseguenze disastrose. Molta attenzione viene in particolare dedicata ai sistemi di sicurezza e a quelli che consentono di mantenere le condizioni di vivibilità a bordo. Nel caso del Titan abbiamo tutti sentito citare le 96 ore di tempo a disposizione per salvare l’equipaggio. Il sottomarino doveva essere quindi dotato di batterie in grado di fornire energia a sufficienza, appunto per le 96 ore indicate, ai sistemi di emergenza di bordo. Nel caso specifico le esigenze principali erano assorbire l’anidride carbonica e immettere ossigeno nell’atmosfera interna, nonché tenere una temperatura normale, considerando che nelle profondità oceaniche la temperatura esterna è di circa 4 gradi centigradi.
Secondo la sua esperienza, perché i mezzi impegnati nei soccorsi non sono stati in grado di rintracciarlo e trarre i passeggeri in salvo?
Il Titan è un sottomarino di dimensioni molto contenute che operava a migliaia di metri sotto il mare. Le ricerche sott’acqua si basano prevalentemente su apparecchiature che sfruttano il suono per localizzare un oggetto. La luce sott’acqua si propaga per pochi metri, quindi una normale telecamera risulta totalmente inefficace, lo stesso vale, ad esempio, per i sistemi radar impiegati sopra la superficie del mare. Nel caso specifico, i sistemi in grado di rilevare un oggetto relativamente piccolo come il Titan sono in grado di esplorare una fascia di fondale della dimensione di qualche decina, al massimo centinaia di metri, muovendosi peraltro molto lentamente. Il tempo necessario a rintracciare un mezzo disperso è quindi legato alla vastità dell’area in cui effettuare la ricerca. Adesso sappiamo che il Titan è imploso, pertanto la ricerca era resa ancora più complessa poiché lo scafo era ridotto in parti più piccole. Inoltre bisogna considerare la presenza del ben più grande relitto del Titanic, anch’esso diviso in più parti, in grado di mascherare l’eco di oggetti più piccoli sul fondo.
Perché è imploso il Titan?
Il fattore determinante per questo tipo di sottomarino è la resistenza alla pressione dello scafo e di tutte le parti che lo compongono, come l’apertura che permette l’ingresso e l’uscita del personale o l’oblò che consentiva di guardare all’esterno. Qualcosa, per cause che andranno accertate, deve aver ceduto alla pressione.
Di chi potrebbero essere le responsabilità dell’avvenimento?
Ritengo che saranno necessarie analisi molto accurate per determinare le cause dell’evento. Per questo sarà determinante poter recuperare ed esaminare le parti del relitto da parte di personale con competenze molto spinte nel campo delle costruzioni subacquee. Solo a valle di queste analisi sarà eventualmente possibile attribuire le responsabilità dell’incidente.
Nicola Dammacco