Dal primo governo Berlusconi sono passati 29 anni e con lui si sono alternati tre ministri dell’Istruzione. Il primo fu Francesco D’Onofrio, seguito da Letizia Moratti nel Berlusconi II e III dal 2001 al 2006 e infine, nella quarta edizione, Mariastella Gelmini. Il primo governo Berlusconi nominò a viale Trastevere Francesco D’Onofrio che restò al suo posto solo otto mesi (dal 10 maggio 1994 al 17 gennaio 1995). Il tempo di proporre una riforma degli esami di riparazione che poi andò in porto nel 1997 con Prodi premier: “Negli istituti e scuole di istruzione secondaria superiore sono aboliti gli esami di seconda sessione. Il disegno di legge intende sostituire un sistema più rispondente al reale processo di formazione degli studenti che si trovano in difficoltà. La rilevazione delle difficoltà non può ridursi ad una neutra ricognizione ma implica l’impegno della scuola a definire idonei interventi di sostegno”, così l’ex democristiano berlusconiano dichiarava a Repubblica. Ecco dunque i corsi di recupero, doposcuola contro il mercato delle lezioni private, mai scomparse. E al posto degli esami di recupero arrivarono i “debiti” mai spariti: corsi di recupero estivi e verifica finale entro il 31 agosto e comunque non oltre l’inizio dell’anno scolastico.
La seconda epoca targata Silvio è, invece, quella che iniziò a metter mano all’Istruzione con interventi che ancora oggi hanno delle conseguenze. Dal 2001 al 2006 arrivò a Roma, Letizia Moratti: è il tempo delle tre “i” (internet, inglese, impresa); dell’occhio di riguardo per le paritarie, della gerarchizzazione della scuola con il passaggio da presidi a dirigenti scolastici. Un lavoro preparatorio messo in piedi da un “Gruppo ristretto di lavoro” coordinato da Giuseppe Bertagna, pedagogista dell’Università di Bergamo, con la legge 28 marzo 2003, numero 53 e con la legge 4 novembre 2005, numero 230, abolì la precedente riforma Berlinguer varata nel 2000. Alla primaria i programmi ministeriali subirono un calo drastico per quanto riguarda lo studio di storia, geografia e scienze con meno ore di insegnamento dedicate a queste discipline. Alle medie venne ridotta la durata dell’anno scolastico a ventisette settimane e diminuirono da tre a due le ore di insegnamento della seconda lingua. Come per la primaria anche nella scuola secondaria di primo grado venne abolito il tempo prolungato.
A fare memoria di quei tempi è Daniela Colturani, eletta nel 1993 segretaria generale del Sinascel-Cisl (sindacato dei docenti di elementare e materna), e quattro anni dopo, con la fusione di quel sindacato con il Sism-Cisl segretaria generale dell’unico sindacato Cisl del settore scolastico: “Ho lavorato nel sindacato dal 1987 al 2004, ho conosciuto undici ministri. Alla Democrazia Cristiana fregava nulla di quel dicastero ma avevano l’intelligenza di affidarsi a chi ne sapeva. L’arrivo di Moratti portò con sé una schiera di persone che sostituirono le competenze dei dirigenti che c’erano fino ad allora. D’Onofrio fu una figura opaca, non fece nulla che segnò la storia ma la “signora”, come la chiamavamo tutti, aveva una grande presunzione”. Colturani ricorda che il mandato di allora era tagliare e Moratti aveva intenzione di far saltare le scuole nelle piccole isole: fu il sindacato a salvarle. Con Moratti c’era vice ministro, Valentina Aprea, fedelissima di Berlusconi fino a qualche anno fa: “Il Ddl che portava il suo nome – spiega l’ex segretaria – è stato la base della Buona scuola di Renzi. Moratti aveva una predilezione per il privato. A Berlinguer che fece la legge sulla parità scolastica rimproverai di essersi scordato che le paritarie avrebbero dovuto includere disabili e migranti. Moratti proseguì su questa strada e con il proliferare dei diplomifici”.
Ad avere sotto gli occhi quanto fatto durante i suoi anni al ministero è anche l’ex segretario della Flc Cgil, Enrico Panini, che ricoprì quel ruolo dal 1997 al 2008 incrociando i governi Prodi, D’Alema, Amato e poi dal 2001 al 2006 l’epoca Moratti con il Berlusconi II e III: “La ministra si era messa in testa la figura del docente tutor”. La legge delega 53/2003 e il successivo decreto 59/2004 avevano previsto la suddetta figura nelle scuole primarie e secondarie di primo grado con il compito di “orientare le scelte degli studenti nel loro processo di crescita”. “Si schierarono contro quella novità – dice Panini – diversi costituzionalisti, i sindacati, i docenti perché non sarebbe servita sul piano didattico e avrebbe messo in crisi l’autonomia scolastica”. Panini ricorda la filosofia di fondo di quel governo e della ministra: “Negli anni precedenti non era tutto miele ma lì ci fu la volontà di perdere l’assetto pubblico a partire dai valori dei caratteri culturali: le tre i; la gerarchizzazione all’interno del corpo docenti; la riduzione delle risorse; l’avvio della sanzione, la perdita del sostantivo “pubblica” accanto a istruzione”.
Il peggio arrivò con il Berlusconi IV che nominò la fedelissima Mariastella Gelmini all’Istruzione dal 2008 al 2012: quattro anni che portarono a reintrodurre l’obbligo del grembiulino; al ritorno alla valutazione in decimi alla scuola elementare e media; a causa della riduzione della spesa per l’Istruzione ritornò il maestro unico e un tempo scuola di 24 ore settimanali, senza tempo pieno. La ministra bresciana fece l’accorpamento di classi di concorso non omogenee ma soprattutto tagliò. Per quanto riguarda l’università nel 2010, rispetto all’anno precedente, la quota di stanziamenti assegnati per la ricerca universitaria diminuì di circa il 7%. Nella 133 che riguardava in realtà la finanza pubblica, la Gelmini, riuscì ad introdurre alcuni articoli (15,16,17,64 e 66) che modificarono sostanzialmente la vita in aula.
Alla secondaria di primo grado, per essere promossi alla classe successiva era necessario ottenere la sufficienza in tutte le materie e per la prima volta spuntò l’Invalsi nell’esame di terza media. Note dolenti anche per la secondaria di secondo grado dove il taglio delle ore di insegnamento negli istituti tecnici e professionali, comprese le materie “di indirizzo” ridotte di un terzo delle ore di lezione, portò alla diminuzione delle relative cattedre e quindi del personale docente. L’ex ministra di Berlusconi portò il voto in condotta a fare media. Infine l’università che con il decreto del ministero dell’Istruzione 17 del 22 settembre 2010 subì un forte ridimensionamento dell’offerta formativa. Dal 2008-2009 al 2010-2011 le classi calarono di 10.617 unità, nonostante il numero degli alunni in Italia non fosse diminuito. Nel triennio 2008-2011 furono tagliate oltre 90mila cattedre intere; persero l’incarico ben circa 3mila supplenti con incarichi annuali; diminuirono di 30mila unità i posti per il personale non docente, e si è verificò un taglio di ulteriori 14mila posti nel 2011. Si ricorda tutto Mimmo Pantaleo, a capo della Flc Cgil, dal 2008 al 2016: “Gelmini tentò di scardinare il modulo a tre nella primaria oltre ad alcune materie; precarizzò il lavoro degli insegnanti, costruì un’idea gerarchica, conferì potere al preside trasformandolo al manager. La scuola a quell’epoca diventò un’appendice del mercato. Ai tempi organizzammo il più grande sciopero della Repubblica a piazza del Popolo. Renzi è stata la continuità del Governo Berlusconi”.
Pantaleo ricorda anche di aver incontrato qualche volta il premier: “Non era spocchioso, era come trovarsi al bar con un amico. Poi nei fatti…”. A snocciolare i dati è Marcello Pacifico, che nel 2008 fa nascere l’Anief: “Ha tagliato più di 200mila posti. Il Governo Berlusconi aveva deciso di razionalizzare le spese: con l’articolo 64 della Legge 133/2008 portò nel quadriennio successivo non solo una riforma del tempo scuola, del metodo educativo nella scuola infanzia ma anche l’eliminazione dell’insegnante di specialistica di lingua inglese (dieci mila docenti in meno). Si ridusse di quattro ore il tempo nelle scuole di ogni ordine e grado. Passò l’idea che gli studenti italiani studiavano troppo e venne diminuito l’orario da 34 ore a 30 (alla scuola media superiore ) all’infanzia e alla primaria (da 30 a 26). Complessivamente saltarono tre mila posti di DSga e Ata. I fondi tagliati complessivamente dopo tre anni furono di dieci miliardi”. Pacifico ricorda anche la riforma dell’Università: “Si iniziò nel 2009 con l’idea di assumere 6mila ricercatori per finire con la Legge 240/2009 che portò all’esaurimento del ruolo del ricercatore: piuttosto di assumerli, furono licenziati”. Ecco la scuola di Silvio Berlusconi, quella che lui era convinto fosse un “potere forte” in mano alla sinistra. Tranne scoprire dopo che un buon 35% dei docenti votò il suo partito.