Una grande matita nera incastonata sulla passerella bianca e la sua firma sulla parete di fondo, a ricordare “che il mio lavoro è fatto da me, da una matita, un foglio bianco e dalla mia testa che ancora funziona“. Seduto su una semplice sedia, circondato dai giornalisti, Giorgio Armani parla con piglio e pacatezza delle sue ultime creazioni Uomo per la Primavera/Estate 2023. Una conversazione sull’eleganza, sul bello e sulla vita che è quanto di più vicino all’antica maieutica, con i cronisti che interrogano lo stilista e lui che non si sottrae mai alle domande. Anzi, replica con ulteriori spunti di riflessone. E in fondo, è proprio questo filosofeggiare che rende il lavoro di Giorgio Armani così unico e potente. Sì, perché per quanto possa sembrare banale sono proprio quei tre semplici elementi chiave – una matita con la gommina per cancellare, un foglio bianco e la sua mente – a far sì che ad ogni sfilata si compia la magia. Pantaloni, bluse, camicie ma soprattutto giacche, le sue giacche. Tutto è nuovo ma al contempo così familiare. Questa è la cifra del suo stile. Uno stile che ha definito in questi suoi quasi cinquant’anni di carriera proprio a colpi di matita, tracciando, definendo ma soprattutto cancellando ogni rigidità ed oggi accesso dai suoi capi. Un processo metodico e analitico di continua scrittura e riscrittura, che – da perfezionista quale è – lo porta a guardare sempre con occhi diversi i capisaldi, per creare nuove storie, nuove trame, nuovi intrecci. Giorgio Armani ha l’ineguagliabile capacità di riscrivere, collezione dopo collezione, la sua storia, intessendo ogni pezzo con il suo Dna. Che non vuol dire fossilizzarsi sul passato o nascondersi nell’archivio, ma saper aggiornare sé stesso in un equilibristico gioco di incastri che lo porta a declinare il suo stile per vestire il tempo presente. Cambiano i dettagli, i tessuti, le forme, gli accessori. Resta l’essenza.
Nella vita ci vogliono sempre “buon senso, discrezione e attenzione“, ammonisce lo stilista conversando con i giornalisti dopo la sfilata della collezione Giorgio Armani Uomo P/E 2024 presentata lunedì 19 giugno nell’intimità del Teatrino della sua casa via Borgonuovo. E ci tiene “ricordare a tutti come l’uomo dovrebbe vestire” (e che le occasioni d’uso non sono un retaggio polveroso del galateo dei tempi che furono). Lo fa con il suo linguaggio, quello della moda, fatto di sete, di impermeabili avvolgenti, di maglie morbidissime e di giacche fluide, quelle alla Richard Gere per intenderci, che consacrarono il suo successo e che “nascono – spiega il signor Armani – da una visione di eleganza di una certa popolazione asiatica. Loro portano sempre queste cose molto comode e soft che accarezzano il corpo, ma non lo costringono ed è una forma di vestire che è al tempo stesso elegante e comoda con i tempi che viviamo”. Un’allure orientaleggiante che si declina attraverso fantasie, un foulard languidamente annodato al collo, nodi, geometrie e lavorazioni sartoriali che servono “per cambiare l’aspetto di un uomo in giacca e pantalone”, emblema di quel processo di riscrittura del codice di cui si parlava poc’anzi.
Quindi “Re Giorgio” è entrato nel dibattito sulla riattualizzazione della mascolinità che è stato al centro di queste sfilate milanesi: “Non ho fatto bermuda e non aggiungo altro – scherza Armani – perché secondo me il bermuda implica di essere su una spiaggia o in giro per vacanza. E poi, soprattutto, bisogna avere delle belle gambe”. E si torna sempre al concetto di appropriatezza, oggi – ahinoi – dimenticato: “Io li ho sempre fatti i bermuda ma sul genere sportivo, non nell’abbigliamento cittadino – spiega -. Oggi se ti fermi a una fermata dell’autobus vedi molti uomini in bermuda, ma poi hanno la maglietta, il cappellino. Invece ci vogliono discrezione e attenzione a dove vai e da chi ti vuoi far criticare: se vai in ufficio o a un meeting importante forse non metti quell’abbigliamento”. Non a caso a chiudere la sfilata sono una serie di completi d’alta sartoria, quint’essenza dell’eleganza e impeccabili nella loro scioltezza, “per ricordare a tutti – sottolinea Armani – che poi l’uomo si veste così”.
La stessa raffinatezza si ritrova anche nella collezione Uomo P/E 2024 di Emporio Armani, dolce, avvolgente e melanconica come l’ultima notte notte d’estate in riva al mare, quando al chiaro di luna si passeggia in riva al mare con la consapevolezza che di lì a qualche ora quel tempo sospeso delle vacanze sarà finito. Il frusciare delle sete degli abiti rievoca il suono della brezza marina, la morbidezza delle linee suggerisce accoglienza: lo spazio tra corpo e vestito è vivo e pulsante, fatto di linee liquide che toccano appena i muscoli. Giacche chimono, lunghi spolverini, pantaloni scivolati, tuniche e tute rimandano all’estremo oriente o al cuore dell’Africa. Con morbide collane a perle di seta che ondeggiano sul petto con fare tribale. L’energia è pulsante, le forme fluttuanti e l’essenzialità del nero si illumina con tocchi di bianco e beige sabbia in un gioco cromatico dualistico che ipnotizza gli occhi degli spettatori all’Armani Teatro. Nero notte e beige dorato sono i colori portanti di questi capi che profumano di un esotismo mitologico e racchiudono tutto il potere trasformativo dell’antichissimo ginko. La foglia di questa pianta è infatti la chiave di volta della collezione: nato 250 milioni di anni fa, l’albero di ginko si è adattato ai tempi e ai cambiamenti senza snaturarsi, tanto che la sua maestosità divenuta un simbolo di eleganza e resistenza. Proprio come lo stile di Armani, insieme tempestivo e senza tempo.