di Paolo Bartolini, analista biografico a orientamento filosofico, saggista e poeta, e Sara Gandini

Una sostanziale convergenza tra destra e centrosinistra garantisce al blocco di interessi neoliberista la piena agibilità delle sue politiche di governance. Le innumerevoli guerre al fianco della NATO, l’incessante privatizzazione dei profitti (con relativa socializzazione delle perdite), l’impostazione gerarchica della società, la tentazione autoritaria, la svendita degli asset pubblici accomunano da decenni partiti perfettamente a loro agio nell’attuale fase del tecno-capitalismo. Cosa resta allora per rimarcare un’opposizione tra i contendenti, tale da giustificare il rito stanco delle elezioni “democratiche”? Il gioco delle presunte differenze tra forze politiche omogenee si sposta, ormai, sulla questione dei diritti civili.

Qui si svolge la partita tra i difensori di una qualche “identità forte” (la destra, ma anche molti antiglobalisti avversi ai diritti di gay, lesbiche e persone trans) e i promotori di “identità fluide” e non binarie (i cosiddetti progressisti). I primi, rassicurando il cittadino medio, si ergono a paladini della tradizione, offrono appigli agli spaesati della piccola borghesia planetaria. I secondi, avendo rinunciato definitivamente a incidere sui diritti del lavoro e sulla redistribuzione della ricchezza verso il basso, finiscono talora per idealizzare un’astratta mobilità cross-gender, dimenticando di problematizzare un tempo storico nel quale il potere necessita sempre di soggettività fluide, ovvero di personalità flessibili capaci di non irrigidirsi in alcuna struttura che rallenti la circolazione dei flussi di capitale e inibisca “l’empowerment”, l’imprenditorializzazione del sé e del proprio corpo.

Da poco è uscito in Italia un libro prezioso, scritto dalla psicoanalista Alessandra Lemma, fine studiosa del tema delle modificazioni corporee e delle fantasie inconsce che spesso si nascondono dietro di esse. Si intitola “Le identità transgender. Un’introduzione contemporanea” (Franco Angeli, 2023). Ne parliamo perché la prospettiva adottata dall’autrice è capace di farci uscire dalla gabbia dei luoghi comuni, siano essi quelli di un tradizionalismo reazionario o di un approccio liberal perfetto per la società dello spettacolo. Lemma invita a esplorare un fenomeno condiviso da ogni essere umano e non solo dalle persone trans: quello della difficoltà per la psiche di abitare il corpo, di trovare in esso dimora.

Tale difficoltà ci ricorda che non esiste alcuna identità già data, poiché essa si costruisce secondo due assi, uno relativo al rapporto con gli altri che ci accolgono al mondo e si prendono cura di noi, in primis la madre; l’altro ai vissuti soggettivi rispetto al sesso biologico. Invece di parlare di corpo “naturale”, con il rischio di sfociare in un’etica pericolosamente normativa, l’autrice parla di “corpo dato” o corpo ricevuto. Lemma strappa i percorsi di transizione all’insidiosa retorica della scelta consumistica, che spesso banalizza la delicatezza e drammaticità dei vari tragitti esistenziali. L’espansione vertiginosa della chirurgia estetica, e delle tecnologie mediche per la modificazione dei corpi, non deve ingannare. Ogni trasformazione del proprio corpo, anche quando condurrà a un effettivo benessere, richiede un doloroso e importante lavoro psichico. Quale? Quello di venire a patti, pur nel cambiamento, con il corpo dato che dalla nascita in poi porterà sempre addosso i segni dell’altro (il desiderio dei genitori, su tutti), dunque una provenienza che, precedendoci, non può mai essere cancellata definitivamente, pena la rimozione delle nostre radici.

Si tratta di accettare che l’identità umana non è statica, fissa, “naturale”, ma nemmeno infinitamente manipolabile e scollegata da vincoli bio-psico-sociali. Ne deriva una consapevolezza: l’immaginario tossico tecno-capitalista potrà essere superato solo stringendo in un unico nodo libertà e legami, limite e trasformazione. È giunto il momento di sostituire al mantra “tutto è possibile”, di matrice neoliberista, un’ecologia politica all’altezza delle sfide, capace di tenere insieme, senza mai separarli, diritti sociali e diritti civili. Comprendere questo fino in fondo significa, riprendendo il pensiero femminista, riconoscere la soggettività come un processo aperto, che non disdegna equilibri dinamici e non può essere confinato dentro il recinto della forma merce.

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