Flavio Briatore non vedrà mai i 19 milioni di euro che chiedevaallo Stato come risarcimento per lo “scippo” del suo yacht Force Blue. La Cassazione ha rigettato il ricorso contro l’ordinanza della Corte d’Appello di Genova che aveva negato al patron del Billionaire ilrimborso” per la vendita del natante, sequestrato nel maggio 2010 al largo della Spezia per una presunta frode fiscale da 3,6 miliardi sull’Iva all’importazione, realizzata – secondo l’accusa – intestandolo a una società schermo con sede in un paradiso fiscale, la Autumn Sailing Ltd., e quindi simulandone l’uso commerciale che esenta dall’imposta. Da quell’imputazione Briatore e gli altri imputati sono stati poi assolti in via definitiva nel gennaio 2022, dopo l’annullamento della condanna in Cassazione. Un anno prima, però, la maxi-barca (62 metri per 1.325 tonnellate di stazza lorda, la 78esima più grande al mondo) era stata messa all’asta dalla Corte d’Appello a procedimento ancora in corso, per i costi di gestione troppo alti e il rischio di deperimento. Ad aggiudicarsela, per 7,5 milioni di euro (mezzo milione in più della base d’asta) era stato l’ex patron della Formula 1 Bernie Ecclestone, peraltro amico di lunga data di Briatore. Così, dopo l’assoluzione, al milionario di Verzuolo era rientrato in tasca soltanto quell’importo (e nemmeno tutto), cioè una somma molto lontana dai 19 milioni che i suoi legali identificano come il giusto valore dello yacht (il prezzo di mercato stimato dai broker della nautica, invece, era di 15 milioni circa).

Per avere indietro la differenza, oltre dieci milioni di euro, Briatore si era rivolto alla stessa Corte genovese, che però gli aveva dato torto nel merito: la base d’asta, scrivevano i giudici, era quella corretta “sulla base delle caratteristiche concrete del natante, del suo marchio non rinomato e da ricondurre ad un cantiere che ha cessato l’attività”, nonché “del tempo necessariamente limitato per procedere alla vendita giudiziale senza incorrere in ulteriori perdite, a fronte di un periodo normalmente impiegato di circa 12-18 mesi”. E ora dalla Cassazione arriva la conferma di quella decisione anche sul piano della legittimità: “La restituzione del bene, ormai venduto, già oggetto di sequestro preventivo (e mai confiscato) è stata realizzata mediante restituzione del ricavato della vendita“, si legge nella sentenza. La difesa del manager chiedeva invece di applicare la norma sulla “restituzione per equivalente” prevista dall’articolo 46 del Codice antimafia: una norma che però, ricorda la sentenza, “postula, in primo luogo, che sia intervenuta la confisca del bene, poi destinato a finalità pubbliche o venduto, e che, in via conseguenziale, che l’avente diritto alla restituzione di un bene confiscato e di cui sia stata revocata la confisca, non abbia ottenuto alcunché perchè il bene ha avuto altra destinazione, non più revocabile, ovvero è stato venduto. È evidente”, scrivono in conclusione i giudici, “che tale disposizione non possa trovare applicazione nel caso in esame, nel quale è mancato un provvedimento di confisca”.

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