C’è in Italia un sistema fatto di appalti al ribasso, dumping contrattuale, finte cooperative che frutta enormi ricchezze a chi sfrutta i lavoratori, li ricatta, li condanna alla povertà. Non è certo una novità e non può e non deve stupire quanto emerge dalle indagini sulla cooperativa dei vigilantes non armati del gruppo Sicuritalia, finita in amministrazione giudiziaria con l’accusa di caporalato e sfruttamento del lavoro.
Chi può dire che non sapeva? I 5,37 euro lordi l’ora per stipendi netti da 650 euro sono una realtà arcinota perché parte di un contratto collettivo nazionale firmato da Cigl e Cisl, non da sindacati pirata. Altrettanto noto è che i bassi livelli salariali trasformano gli straordinari in un’arma di ricatto contro lavoratori troppo poveri per non abbassare la testa, arrivando addirittura ad approvare deroghe peggiorative al peggiore dei contratti, come accaduto proprio nella cooperativa Servizi Fiduciari, dove i lavoratori sono soci ma il loro interesse vale zero.
Doppi turni, 80 ore di straordinario al mese, lavoratori che se si ammalano vedono la paga scendere a 450 euro e non sanno di che vivere. E poi altri minacciati, intimiditi, umiliati: chi può dirsi sorpreso?
Il ccnl dei Servizi Fiduciari esiste dal 2013 e dal 2015 è scaduto, così sulla miseria fatta contratto hanno fatto in tempo ad abbattersi caro vita e inflazione. Di recente un accordo per il rinnovo è stato trovato: 140 euro spalmati su quattro anni, al di sotto degli adeguamenti previsti dall’Istat, una vergogna. Il perché sta negli introiti accumulati dal settore, che nel caso di Sicuritalia, dicono gli atti, “hanno avuto lo sfruttamento del lavoro come volano”. Aziende ricche (Sicuritalia ha raddoppiato il fatturato dal 2016 ad oggi), che vincono appalti, anche pubblici, con offerte al ribasso che nascondono la spremitura dei lavoratori e dei loro diritti.
Leader in Italia e secondo in Europa, il gruppo Sicuritalia cui appartiene la cooperativa finita sotto controllo giudiziario è una società da 700 milioni di ricavi, 17mila dipendenti e più di 100mila clienti tra banche, ospedali, istituzioni pubbliche e giganti della distribuzione come Esselunga. In questi anni ha visto crescere il volume dei suoi affari, non ha smesso di assumere e ha acquisito aziende concorrenti, anche all’estero. Ma di fronte ai dipendenti della sua cooperativa ha sempre paventato crisi, riduzioni di personale e dissesti finanziari. Così i “soci” abbassavano la testa ancora un po’, impotenti e soli.
È capitato che alcune cause di lavoro trascinassero in tribunale imprese come Sicuritalia e con loro il ccnl Servizi fiduciari. Più di un giudice l’ha dichiarato incompatibile con l’art. 36 della Costituzione, dove sta scritto che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Ai lavoratori che hanno vinto è stato applicato un altro contratto, riconosciuto un risarcimento, ma una causa di lavoro vinta non fa primavera. Non se un giudice che dichiara incostituzionale un contratto collettivo perché al di sotto della soglia di povertà lascia intatte le coscienze e non innesca negli altri lavoratori, nell’opinione pubblica e nella politica una reazione sufficiente. E in Italia finora non è successo.
Al contrario, tempi duri attendono i lavoratori come tutte le persone economicamente fragili. Lo dimostra una volta di più il decreto lavoro appena convertito in legge, ennesima inclinazione di un piano già troppo inclinato sul quale scivolano esistenze paradossali, che abbiamo creduto scomparse, come quelle di chi è povero nonostante il lavoro.
Di questo non possiamo smettere di dirci stupiti: non c’è ancora una reazione netta, abbastanza partecipata e arrabbiata per un’ingiustizia che soffoca intere vite e ipoteca le future generazioni. Perché dopo anni di silenzio, inetto o connivente, della politica, e nonostante le pronunce dei tribunali, è un magistrato e non altri a chiamare le cose col proprio nome. A dire, in virtù di quelle sentenze e dei richiami alla Costituzione, che 5 euro lordi sono sfruttamento e che lo sfruttamento deve avere conseguenze anche sul piano del diritto.
L’interpretazione di quanto emerso dalle indagini non era scontata. Anzi, è inedita, come ha scritto Luigi Ferrarella sul Corriere. Tanto che le aule di tribunale potrebbero giudicarla troppo audace e allora tutti a gridare all’ingiustizia, ai poteri forti e quant’altro. La verità è che dalle indagini emerge innanzitutto l’inazione di una politica debosciata. Oltre alle responsabilità di ognuno di noi, se ci illudiamo che certe questioni debbano giudicarsi nelle aule di un tribunale. È una sconfitta di tutti se tocca a un magistrato combattere lo sfruttamento del lavoro. È il prodotto di partiti, sindacati e cittadini che hanno smesso di considerare non negoziabili certi principi. Prima che si arrivi a processo, prima che si arrivi a sentenza e a prescindere dall’esito serve prendere posizione sullo sfruttamento di milioni di lavoratori, sugli appalti al massimo ribasso, il part time involontario, i contratti pirata e quelli corsari, sull’incapacità oggettiva della contrattazione di garantire ancora salari sufficienti e sulla necessità improrogabile di dotare il Paese di un salario minimo legale.
La letteratura in merito è ricca di esempi che dimostrano quanto la contrattazione stessa possa beneficiarne e chi lo nega lo fa sulla pelle degli sfruttati. Milioni di lavoratori in Italia sono a rischio povertà: la battaglia sul salario minimo basta e avanza per un’alleanza politica, tutto il resto sono scuse, armi all’Ucraina comprese. Non deve trattarsi di un matrimonio finché morte non li separi, ma di fare ciò che si può a partire da quanto non è più rinviabile. Anzi, il lavoro di Gdf e pm di Milano dimostra che il tempo è già scaduto.