Leave homophobia to Russia“, lasciamo l’omofobia alla Russia, dice uno dei manifesti della prima edizione del Kyiv Queer Film Festival, in corso nella capitale ucraina fino a mercoledì 28 giugno. Nato da una sezione del più generale Kyiv Film Festival (si chiama Sunny Bunny ed era una parte del festival generalista) l’evento culturale viene ad assumere un evidente significato politico. Bohdan Zhuck, il giovane organizzatore ucraino, conosce i circuiti cinematografici Lgbt dei Festival europei: è stato anche presidente della Giuria dei Documentari al Lovers Film Festival di Torino. Ha facilmente ottenuto molti patrocini e collaborazioni, e in particolare il sostegno della Fondazione Heinrich Boll. Anche l’Istituto Italiano di Cultura patrocina l’iniziativa con la presenza del direttore Edoardo Crisafulli che dichiara “la posta in gioco è l’entrata in Europa anche a livello culturale, con i valori della società aperta”.

Ci sono film e documentari da vari paesi, ancora pochi quelli ucraini. Il regista italiano Nicolò Bassetti è in concorso con il suo “Nel mio nome” sulla transizione di genere. Il conflitto interno tra fazioni russe non sembra aver ulteriormente cambiato la vita quotidiana della capitale né tantomeno l’andamento del Festival, che comunque fa i conti con gli orari del coprifuoco per cui le proiezioni terminano alle 22 in modo che tutti siano a casa per le 24) e con le routine degli allarmi aerei (che interrompono le proiezioni: finora è successo solo una volta per 20 minuti).

I partecipanti al Festival, per lo più giovani, per lo più ragazze, sono tutti informati e attenti sullo scontro Prigozhin-Putin, ma non compulsano ansiosamente le notizie. La metafora più citata dagli ottimisti è quella dei popcorn, di cui tra l’altro il cinema Zhovten è l’unico venditore nel quartiere. “Stiamo a vedere cosa succede. Se si scornano tra di loro, per noi può solo andare meglio…” dicono più o meno con le stesse parole Vadim e Maria, ventunenni. È più che calma la situazione davanti all’entrata del cinema Zhovten, dove quattro poliziotte annoiate chiacchierano sulle panchine dell’adiacente parco. Nove anni fa le prime proiezioni di film Lgbt (e non era un Festival) avevano provocato proteste e lancio di una bottiglia incendiaria. Questa volta solo un paio di insulti nei social. “La società è cambiata – dice la trentenne Katarula – oggi è davvero possibile che la legge sulle unioni civili venga approvata. La contrapposizione alla Russia favorisce l’apertura ai nostri diritti”. Il momento politico più atteso del Festival sarà il dialogo tra la parlamentare Inna Sovsum e i rappresentanti dei militari LGBT. Sono stati soprattutto loro a chiedere una proposta di legge per proteggere i diritti dei partner in caso di ferite gravi o di morte.

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