Una giornata folle, forse la più dura per Vladimir Putin dall’inizio dell’operazione speciale in Ucraina. Perché a essere messa in discussione per la prima volta è stata la leadership stessa del numero uno del Cremlino. Che alla fine – questo raccontano le cronache ufficiali – ha dovuto cedere all’uomo che da alleato fedele è diventato la peggiore minaccia: Yevgeny Prigozhin, il capo dei mercenari delle milizie Wagner. Il vincitore è lui: se le notizie che filtrano dai canali Telegram fossero confermate, l’ex cuoco di Putin avrebbe portato a casa successi inimmaginabili prima di oggi: la cacciata dei suoi acerrimi nemici Shoigu e Gerasimov (rispettivamente ministro della Difesa e capo di stato maggiore dell’esercito) e la messa in sicurezza di tutto il Gruppo Wagner (compresa l’immunità per chi ha partecipato alla marcia su Mosca di oggi). Altra faccia della medaglia è la forte perdita di credibilità del presidente russo, costretto ad accettare gli aut aut di Prigozhin pur di fermare l’avanzata dei suoi mercenari sulla capitale, che già si stava preparando al peggio. La giornata di oggi, inoltre, ha restituito alla storia di questa guerra un altro protagonista: Alexandr Lukashenko. Dato per morto qualche settimana fa, il presidente bielorusso è stato colui che ha portato a termine e chiuso la trattativa con Prigozhin, o almeno così raccontano le versione ufficiali delle varie parti in causa. C’è da fidarsi di queste ricostruzioni? Presto per dirlo, specie quando si parla di politica interna russa, dove quasi sempre non tutto è come sembra. Di certo dopo le ultime 24 ore molte cose cambieranno negli equilibri di potere del Cremlino.
LA GIORNATA – La marcia di Yevgeny Prigozhin si è fermata a 200 km da Mosca. Dopo mesi di critiche sempre più violente contro le istituzioni militari, il capo della Wagner ha lanciato la sfida direttamente a Vladimir Putin penetrando con le sue milizie in territorio russo apparentemente, e incredibilmente, senza incontrare alcuna resistenza. Fino a quando, in serata, ha annunciato la marcia indietro “per evitare un bagno di sangue russo”. Per la Russia, e per il mondo, è stata una giornata drammatica in cui il Paese è sembrato poter precipitare in una guerra civile. In un discorso alla nazione, in mattinata il capo del Cremlino aveva definito l’azione di Prigozhin una “pugnalata alle spalle” alle truppe che combattono in Ucraina. Mentre i servizi d’intelligence lo hanno accusato di avere iniziato un “conflitto civile armato”. Cosa volesse di preciso lui non lo ha detto, ma in pochi credono a un’azione individuale, mentre diversi osservatori si dicono convinti che sia in gioco una resa dei conti politica in cui Prigozhin sarebbe solo una pedina.
DA “ABBIAMO PRESO ROSTOV” A “TORNIAMO INDIETRO” – Dopo aver accusato ieri sera l’esercito di Mosca di avere bombardato le postazioni dei suoi uomini, il capo della Wagner ha annunciato stamane di aver catturato la città di Rostov sul Don, il più importante centro a ridosso del confine ucraino, impossessandosi senza sparare un colpo dell’aeroporto, del quartier generale militare e di quello dei servizi segreti interni, l’Fsb. La situazione si è fatta via via più drammatica con il passare delle ore, con le autorità locali che hanno cominciato a segnalare un’avanzata dei poco più di 20.000 miliziani della Wagner verso nord senza che nessuno intervenisse. Prima la provincia di Voronezh, poi quella di Lipetsk, circa 450 chilometri a sud di Mosca. In serata, quando ormai la capitale sembrava nel mirino, il colpo di scena. Il presidente bielorusso Alexander Lukashenko si è intestato un negoziato “durato tutto il giorno e in accordo con Putin” durante il quale al capo di Wagner sarebbero state fornite “garanzie assolutamente vantaggiose e accettabili” in cambio del ritiro dei suoi uomini. Con lo stesso Prigozhin che subito dopo ha annunciato il dietrofront e il rientro dei miliziani nei loro campi base nel sud del Paese.
IL DISCORSO DI PUTIN – A metà mattinata Putin era apparso in televisione per non più di cinque minuti accusando il suo (ex?) alleato di “tradimento” per ambizioni personali. “Tutti coloro che hanno scelto la via del tradimento saranno puniti e saranno ritenuti responsabili”, aveva avvertito il presidente, che era sembrato alludere al possibile ruolo di altri personaggi oltre a Prigozhin. Quest’ultimo aveva risposto affermando che Putin era “profondamente in errore”, avvertendo che nessuno dei suoi uomini si sarebbe consegnato. Successivamente alcuni siti hanno diffuso voci secondo le quali Putin era fuggito da Mosca, ma il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov le ha seccamente smentite. Le autorità hanno sospeso gli account della Wagner sui social, ma non su Telegram, dove Prigozhin ha continuato indisturbato a lanciare i suoi proclami. Non contro Putin personalmente, ma contro il ministro della Difesa Serghei Shoigu e il capo di Stato maggiore Valery Gerasimov. Mentre il comandante ceceno Ramzan Kadyrov assicurava di essere pronto a mettere le sue forze a disposizione per “schiacciare” la ribellione.
MOSCA SI STAVA PREPARANDO. POI L’ANNUNCIO – Per tutto il giorno il nervosismo a Mosca è andato crescendo per il possibile arrivo della Wagner. Forze di polizia sono state dispiegate in punti nevralgici della città, mentre video diffusi sui canali Telegram mostravano mezzi blindati all’entrata nella capitale dalla direzione sud. Il sindaco Serghei Sobyanin ha invitato la popolazione a limitare gli spostamenti e ha annunciato che lunedì sarà una giornata non lavorativa. Il ministero degli Esteri russo ha invece rivolto un monito ai Paesi occidentali perché non approfittino della crisi per “raggiungere i loro scopi russofobi” e ha ribadito che l’operazione in Ucraina continua e che “tutti gli obiettivi saranno raggiunti”. Ma questa incredibile giornata l’ha chiusa ancora Putin, ringraziando Lukashenko per la mediazione e “per il lavoro svolto”.
COSA SUCCEDE ORA – Lo scampato pericolo di golpe, tuttavia, non vale più di un sospiro di sollievo. Ciò che è successo, come detto, di certo avrà pesanti conseguenze sugli assetti interni e più prestigiosi del potere putiniano. Perché lo zar ha dato dimostrazione di non controllare al meglio ciò che accade all’interno dei suoi confini e, per ristabilire le cose, è stato costretto ad affidarsi al leader di un paese estero. Particolare, quest’ultimo, non di secondo piano. Perché se è vero, come è vero, che Lukashenko è una sorta di suddito di Putin, al tempo stesso l’incapacità di risolvere l’impasse interno con le proprie forze rappresenta un messaggio assai gradito ai nemici internazionali di Putin. Il presidente ucraino Zelensky ha subito parlato di punto di non ritorno, con tutti i leader occidentali che non credevano ai loro occhi nel vedere ciò che stava accadendo tra Mosca e Rostov. La sensazione, insomma, è che Putin oggi sia molto più debole di ieri, sia dentro che fuori dalla Russia. Sempre che il tentativo di golpe dei mercenari di Wagner non sia l’ennesima trama cervellotica che spesso fa da sfondo alle cose russe.
PRIGOZHIN HA AGITO DA SOLO? – E in tal senso l’impresa di Yevgeny Prigozhin e della sua Wagner (conquistare Rostov senza sparare un colpo) solleva più di un interrogativo. È l’opera individuale o l’azione di qualcuno che ha alle spalle poteri superiori? Se si scarta la prima ipotesi, resta la possibilità che Prigozhin si sia mosso con l’appoggio di personaggi influenti, e a questo punto secondo gli analisti si aprono altri due scenari alternativi: il capo della Wagner è utilizzato da qualcuno ad alto livello – magari un gruppo di oligarchi scontenti dell’andamento del conflitto in Ucraina – per eliminare il presidente Vladimir Putin? Oppure è lo stesso Cremlino a servirsi di un alleato da sempre fidato per scopi che al momento non sono chiari? Qualcuno pensa ad una mobilitazione generale, altrimenti difficile da far digerire alla popolazione, oppure alla possibilità per lo stesso Putin di presentarsi – agli occhi dei russi ma anche di tutto il mondo – come il vero leader moderato capace di tenere a freno le spinte estremiste. O addirittura ad una mossa per silurare l’odiato (da Prigozhin) ministro della Difesa Shoigu: sarebbe stato promesso, ma non c’è nessuna conferma, nell’accordo mediato da Lukashenko. La teoria dell’azione individuale di Prigozhin, che potrebbe portare a un rovesciamento di Putin, è invece sposata dall’Ucraina e da esponenti russi dell’opposizione al Cremlino. Per loro non c’è nessun sospetto di una possibile regia dietro l’avanzata – interrotta – di Prigozhin, né alcun dubbio che l’impresa dal sapore dannunziano del capo della Wagner potesse aprire la strada a una Russia migliore e più democratica. Di parere diametralmente opposto, ovviamente, Dmitri Medvedev. Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo ha evocato la partecipazione di stranieri e di unità di élite delle forze armate russe nella pianificazione dell’ammutinamento delle milizie Wagner. E soprattutto aveva avvertito che se le armi nucleari dovessero finire nelle mani di “criminali” non sarebbe solo la Russia a dover tremare, ma il mondo intero.