Il 24 giugno di 28 anni fa la DIA catturava nel centro di Palermo Leoluca Bagarella, detto “Luchino”. Premessa necessaria: non ho partecipato all’arresto compiuto dalla mia squadra, ma ben conoscevo la figura criminale del Bagarella. Egli, quando non era latitante, abitava con la sua famiglia nella mia borgata natia di Acqua dei Corsari a circa 300 metri da casa mia. Parimenti conoscevo bene, sin da quando svolgevo servizio alla Squadra mobile palermitana, i componenti della famiglia mafiosa acquisita, per aver sposato Vincenzina Marchese, che si sarebbe suicidata. Il cognato di Leoluca Bagarella, Pino Marchese, rimase sconcertato dalle immagini della strage di Capaci e via D’Amelio e decise di pentirsi con noi della DIA di Roma. Un fratello di Leoluca, Calogero Bagarella, fu ucciso nella strage di viale Lazio – 1969 – il cui corpo non è mai stato ritrovato; non si conosce nemmeno il luogo dove è sepolto. Luchino Bagarella è stato autore di numerosi delitti, tra i quali quello del capo della Mobile di Palermo Boris Giuliano; egli ha deliberato insieme a Giovanni Brusca, Matteo Messina Denaro e Giuseppe Graviano il sequestro e l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo.

E ora descrivo minuto per minuto la cattura di Bagarella. Giova evidenziare che l’arresto è stato possibile grazie alla squadra romana/palermitana di agenti DIA al comando del dottor Francesco Gratteri, dirigente del Centro Operativo DIA di Roma. Il venerdì 23 giugno un collaboratore di giustizia disse alla DIA che per catturare Bagarella occorreva “attenzionare” un negozio di corso Tukory a Palermo, gestito da tale Tony Calvaruso. Il giorno dopo Gratteri predispose un servizio di appostamento con alcuni agenti. Dopo ore di appostamento non emergeva nessuna novità e tra gli agenti iniziava a balenare l’idea di cessare il servizio.

L’agente preposto a sorvegliare il negozio, però, era un esperto investigatore che, oltre ad essere un collega, era ed è un mio carissimo amico: entrambi abbiamo lavorato alla Squadra Mobile di Ninni Cassarà, quando a Palermo nei primi anni Ottanta era più facile morire che vivere. È proprio da quella attività investigativa, soprattutto nei confronti dei corleonesi, che egli aveva conosciuto il Bagarella. Inoltre, alla pari di me, era un investigatore di strada, abituato a stare ore e ore appostato, ed era un valido conoscitore di “cose mafiose”: fu grazie alla sua esperienza che persuase gli altri a non gettare la spugna e continuare l’osservazione. La sua caparbietà fu premiata: l’agente sostava dentro un auto da solo innanzi al negozio, quando all’improvviso vide un uomo salire su un’auto; attraverso lo specchietto retrovisore, l’agente vide gli occhi di quell’uomo e guardandolo bene si accorse che era molto somigliante a Bagarella. Avvisò gli altri di tenersi pronti.

Una volta partita l’auto dello sconosciuto, l’agente iniziò a seguirla e appena gli altri agenti lo raggiunsero, egli la sorpassò, ponendosi innanzi e gli altri dietro. Il dottor Gratteri, che seguiva in diretta l’operazione, conoscendo la statura criminale del Bagarella, diede ordine di intervenire solo se le condizioni di sicurezza l’avrebbero permesso. L’agente, nel superare l’auto dello sconosciuto, riconobbe senza ombra di dubbio il Bagarella e comunicò agli altri agenti: “Iddu è!”. Nel frattempo, approfittando della morfologia della carreggiata, bloccò la sua auto mettendola di traverso, allo scopo di inibire ogni via di fuga del pedinato; scese dall’auto e impugnando la pistola urlò: “Bagarella scendi dall’auto con le mani alzate”. Era “iddu”, Luchino Bagarella, che si arrese e non era armato. Come si evince, l’arresto di Luchino Bagarella fu un’operazione certosina compiuta da un team affiatato.

In altre operazioni compiute a Palermo, potei verificare l’alta professionalità dei ragazzi provenienti dalla polizia di Stato, dai carabinieri e dalla Guardia di Finanza. Già in un altro pedinamento Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca furono fortunati. Un pedinamento portò i ragazzi in una particolare zona di Palermo e videro entrare in una casa due uomini e una donna. Non ebbero la percezione che quegli uomini potessero essere Bagarella e Brusca con sua moglie. Quando il terzetto uscì da casa, i colleghi scelsero di pedinare l’uomo con la donna, sino a un condominio vicino nella mia zona di nascita. Io mi trovavo a Roma e presi il primo volo per Palermo; attraverso le mie “amicizie” ebbi il concreto sospetto che si trattasse del Brusca. Non si fece più vedere in quel condominio e tuttavia non intervenimmo per non bruciare l’eventuale covo. Da quell’avvistamento iniziammo un’attività investigativa piazzando alcune “cimici”, cosa che ci consentì di eseguire diverse perquisizioni.

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