Alle prime luci dell’alba del 24 giugno un soldato sveglia il capo dell’intelligence del ministero della Difesa dell’Ucraina (GUR), Kyrylo Budanov, per avvertirlo che il patron di PMC Wagner, Yevgeny Prigozhin, si è sollevato contro Mosca e ha conquistato le basi militari della città di Rostov, le più importanti della Russia sud-occidentale. Al ché il capo delle “barbe finte” ucraine risponde: “Cavolo, sono già le sei?” E’ una delle barzellette che circolano in queste ore a Kiev e, in effetti, non si può comprendere l’attuale crisi interna alla Federazione russa – una vera e propria guerra civile – senza valutare il rapporto tra i due leader militari che la storia ha posto uno contro l’altro nella più devastante battaglia degli ultimi ottant’anni, quella combattuta dall’esercito ucraino e dai mercenari dell’ex “cuoco del Cremlino” a Bakhmut. Le vicende della guerra li hanno fatti incontrare –probabilmente anche di persona – in almeno due scambi di prigionieri tra febbraio e maggio scorsi, sicuramente senza uomini del ministero della Difesa russo tra presenti. È innegabile che da allora la narrazione della storia da parte di Prigozhin sia radicalmente cambiata, ma gli si farebbe torto se si pensasse che si sia convertito alla causa ucraina o che ciò potrebbe essere successo solo per le promesse di Kiev.

La verità è che il distacco plateale dell’imprenditore dalla ristretta élite al vertice in Russia risale ad alcuni mesi prima, quando tra ottobre e novembre 2022 era entrato in conflitto col governatore di San Pietroburgo Alexander Beglov, alla cui elezione aveva contribuito nel 2019 grazie ai media da lui controllati e che, alla fine, non gli aveva dato nessun beneficio. Anzi, a ben vedere l’esponente del partito del presidente Vladimir Putin aveva fatto di tutto per ostacolare i tanti investimenti di Prigozhin nella città sul Baltico, compresa la monumentale sede di PMC Wagner in un enorme centro direzionale. La loro faida era stata tollerata dal Cremlino, di solito contrario a iniziative destabilizzanti dall’interno del sistema di potere russo. Non che fosse la prima volta che Prigozhin faceva sentire la sua voce: è stato uno dei critici più stridenti dell’approccio dei comandanti russi all’invasione, incurante del fatto che fosse illegale secondo la legge russa criticare o “screditare” le forze armate. D’altronde, era pure illegale possedere o gestire compagnie mercenarie private. Dopotutto, allora pareva più utile tenersi l’uomo che temerlo – nonostante i suoi colpi di testa e la loquacità – visto che aveva creato i feroci mercenari impiegati con successo in Donbass, Libia, Siria e Centrafrica, ma anche la “fabbrica di troll russa” creatrice di falsi account online per Facebook e altri social media, strategica nella diffusione di disinformazione e propaganda e capace perfino di interferire con le elezioni presidenziali statunitensi del 2016.

È proprio il rapporto tra Prigozhin e Budanov che ci aiuta a capire come siamo arrivati a questo punto. A fine 2022 il padre padrone di PMC Wagner permetteva a un suo uomo di lamentarsi della mancanza di munizioni, una critica che da soldato delle forze regolari lo avrebbe portato davanti a una corte marziale e che invece il “cuoco” farà sua, inveendo più volte – anche ferocemente – contro il ministro della difesa Sergej Shoigu e il capo di stato maggiore, Valerj Gerasimov. Da maggio il film della battaglia di Bakhmut, nel suo epilogo, è diventato di fatto una co-produzione Wagner-GUR: i mercenari sono riusciti a completare agevolmente la presa di tutto il centro abitato – dove in inverno avevano dovuto combattere stanza per stanza in ogni abitazione – mentre parallelamente gli ucraini avanzavano sui fianchi, di fatto creando le condizioni per un possibile futuro accerchiamento della città. Subito dopo i mercenari – come confermato dal loro fondatore – si sono ritirati per un campo “rigenerativo” proprio in Donbass. Pur essendo a tiro dei lanciarazzi HIMARS, Kiev si è guardata bene dal disturbarli, mentre negli stessi giorni falciava tutte le concentrazioni di truppe nemiche di cui veniva a conoscenza. Prigozhin era arrivato a quel punto dopo che Shoigu, Gazprom e persino alcuni oligarchi russi si erano impegnati a costituire e mandare in Ucraina e in Africa compagnie di mercenari concorrenti di Wagner, col deliberato compito di sostituirla o almeno di danneggiarla.

Ovviamente Prigozhin non è rimasto in silenzio né passivo: dopo aver creato attorno a sé il mito del comandante vicino ai suoi uomini e alla gente comune – arrivando a pagare il dovuto in contanti a mogli e madri degli uomini morti in combattimento per rafforzare il legame tra sé e il popolo russo – si è scagliato più volte contro l’élite militare, colpevole a suo dire di aver mandato al massacro – senza organizzazione e senza mezzi – decine di migliaia di russi, ingannando l’opinione pubblica con sfacciatissima propaganda. In tutto questo, fino all’arrivo a Rostov non si è mai scagliato contro Putin, salvo il farlo passare per un “imbecille incapace di togliere le forze armate russe dalle mani di una banda di mascalzoni”. Maestro della comunicazione, il cuoco ora agisce nel silenzio dell’Ucraina e dell’Occidente, entrambi col fiato sospeso davanti a questa incredibile avventura. Certo, a vedere Budanov riapparire in pubblico – dopo giorni di dicerie sul suo ferimento rivelatesi false – coi capelli rasati che lo fanno apparire calvo come Prigozhin, è venuto qualche sospetto.

Già, ma quanti combattenti – molti dei quali, come detto, sono stati “coperti” dagli ucraini in Donbass per quasi un mese – ha reclutato, addestrato e impiegato in combattimento in questi anni Prigozhin in Ucraina e negli altri conflitti in cui si è cacciata la Russia di Putin? Se ci limitiamo alle forze schierate a Bakhmut, siamo portati a pensare che il “cuoco” abbia perso almeno trenta o più probabilmente quarantamila uomini in quella tremenda battaglia, conservandone una o due decine di migliaia. Tuttavia, se al conto aggiungiamo i “veterani” del Donbass, del Medio Oriente e dell’Africa ci accorgiamo che ha mosso, come pedine sulla scacchiera, altre decine di migliaia di uomini, spesso già rientrati in Russia e rimasti a lui fedeli. Chi può dimenticare i congedi degli ex detenuti, con lui – a sua volta ex detenuto negli anni Ottanta come criminale comune – che gli ammoniva di non ricadere nel crimine dopo che qualcuno aveva avuto fiducia e aveva restituito loro la dignità? Ora su di loro –veterani ed ex detenuti – può contare, mentre il Cremlino ha nove decimi delle forze schierate in Ucraina e nella confusione: secondo l’ufficiale delle forze armate israeliane Yigal Levin, i militanti di PMC Wagner stanno adottando la tattica dei talebani in Afghanistan: probabilmente, a Mosca e nei principali centri della Russia europea il grosso delle forze leali a Prigozhin si prepara a uscire dallo stato di “cellule dormienti” e a colpire alle spalle i difensori della capitale o più semplicemente a convincere i soldati della Guardia nazionale e i pochi delle forze armate che il regime ha le ore contate. Chissà se è davvero così.

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