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Emanuela Orlandi, il sit-in in Vaticano. Il fratello Pietro: “Da papa Francesco all’Angelus mi aspetto una parola”

"Mi auguro che domenica papa Francesco dica una parola, una parola di speranza, spero che lui voglia prendere una posizione", aveva detto il fratello Pietro Orlandi nei giorni scorsi

di Alessandra De Vita

Questa mattina in Largo Giovanni XXIII a Roma, ci si ritroverà alle ore 10 per un sit-in per Emanuela Orlandi, a 40 anni dalla sua scomparsa. Poi, poco prima delle 12, tutti i partecipanti andranno insieme a Piazza San Pietro, per l’Angelus. “Mi auguro che domenica papa Francesco dica una parola, una parola di speranza, spero che lui voglia prendere una posizione”, aveva detto il fratello Pietro Orlandi nei giorni scorsi. “Lui lo sa che siamo lì – aveva aggiunto – sono informate le persone a lui vicine e spero dica qualcosa anche come segno di speranza”.

Era il 22 giugno del 1983 quando la 15enne figlia di un messo papale, nata e cresciuta tra le mura leonine, uscì di casa per andare a lezione di Musica nella scuola adiacente alla Basilica di Sant’Apollinare per non fare mai più ritorno a casa. Risucchiata da un vortice di intrighi, misteri, e depistaggi, la sua vita si è interrotta quel giorno senza che un solo lembo di verità sul suo destino emergesse in questi 40 anni. Emanuela era una ragazza serena, pulita e solare, piena di passioni. Frequentava il secondo liceo al Convitto Vittorio Emanuele II. Aveva talento per la musica, studiava canto corale, pianoforte, flauto traverso. Sarebbe diventata una musicista, forse, se qualcuno o qualcosa più grande di lei non glielo avesse impedito. In questi 40 anni è stato detto di tutto. Sono stati tirati in ballo: il terrorismo turco, l’attentatore del Papa Alì Agcà (per cui fu anche chiesto il rilascio in cambio della ragazza) che ancora oggi si lancia in farneticanti rivelazioni, quello bulgaro, la Stasi, lo Ior, il crack del Banco Ambrosiano, la Banda della Magliana.

Quest’ultima, al netto di tutte le piste rimaste confinate nel regno delle ipotesi – come quella internazionale – potrebbe aver avuto un ruolo effettivo nel rapimento della ragazza, a detta degli stessi magistrati che a lungo hanno indagato sull’allora 15enne. Ciò che è certo, è che in Vaticano conoscono la verità. La stessa sera, del rapimento, mentre la famiglia di Emanuela iniziava a cercare la ragazza per le strade di Roma, i presunti rapitori telefonarono alla Segreteria di Stato del Vaticano che intanto aveva attivato una linea privata per comunicare con loro, la linea 158. Volevano parlare con il segretario di Stato Agostino Casaroli ma lui era in Polonia con Papa Wojtyla per il viaggio trionfale che celebrava il movimento Solidarnosc con cui Papa Giovanni Paolo II ha arginato il comunismo nella sua Polonia, dando già una bella picconata al Muro. Lo stesso Papa era stato avvisato quella sera stessa che Emanuela Orlandi era scomparsa, neanche un’ora dopo il suo mancato rientro a casa. Il Vaticano sapeva non si trattava della bravata di una ragazzina ma di qualcosa di grande, oscuro, forse un ricatto nei confronti del Papa ma da parte di chi?

Maurizio Abbatino, ex capo e tra i fondatori della Banda della Magliana, dichiarò in un’intervista alla giornalista Raffaella Fanelli che “L’omicidio di Michele Sindona e quello di Roberto Calvi sono legati al sequestro di Emanuela Orlandi. Se non si risolve il primo non si arriverà mai alla verità sulla fine di Calvi e sulla scomparsa della ragazza. I tre casi sono collegati da un flusso di soldi finiti nelle casse del Vaticano e mai restituiti”. Soldi che, in base alle ricostruzioni ipotizzate negli anni, sarebbero stati utilizzati proprio per finanziare Solidarnosc dal Papa polacco. Il rapimento di Emanuela, secondo questa pista sarebbe servito a ricattare il Vaticano per ottenere la restituzione di una cifra davvero importante. Ma la pista finanziaria forse non basta a spiegare uno dei misteri più impenetrabili del nostro Paese. Il flusso dei soldi si intreccia a un cancro che da secoli corrode il centro della cristianità e da cui solo negli ultimi anni sta cadendo il velo ed è quello della pedofilia.

Un altro nome importante della Banda della Magliana, quello di Marcello Neroni, ex socio di Enrico De Pedis, in un audio diffuso dal giornalista Alessandro Ambrosini sul suo blog “Notte Criminale”, parla di Emanuela Orlandi e collega la sua storia direttamente alla pedofilia diffusa nel Vaticano e a Papa Wojtyla su cui lancia accuse pesantissime.

Oltre che rapita, Emanuela potrebbe essere stata abusata ai fini di creare un ricatto molto importante. Del resto, pochi giorni prima di sparire, aveva confessato a una sua amica il suo profondo turbamento per essere stata importunata da una persona “molto vicina al Papa”, mentre passeggiava nei giardini vaticani. “Aveva paura e forse anche vergogna”. Questa ragazza, oggi donna, ha parlato per la prima volta dopo quasi 40 anni davanti alle telecamere di “Vatican Girl”, la serie Netflix che ha consegnato la storia di Emanuela Orlandi al mondo.

Sabrina Minardi, che in quegli anni era l’amante del boss Enrico “Renatino” De Pedis, circa 15 anni fa ha dichiarato agli inquirenti che fu lei a restituire Emanuela a un cardinale, a pochi passi dal Vaticano, nella via delle “mille curve”, dopo averla assistita in due covi diversi. Lo ha ribadito anche lo scorso anno, anche lei per “Vatican Girl”. Anni fa disse che il suo corpo fu gettato in una betoniera. In una lettera anonima pervenuta nel 2019 all’avvocato Laura Sgrò, c’era scritto che Emanuela è sepolta “lì dove guarda l’Angelo”. La tomba nella foto allegata alla lettera indicava il cimitero teutonico come luogo di sepoltura. Furono aperte delle tombe ma erano vuote. Ciò che colpì, furono le stanze vuote in cemento armato trovate per caso (un operaio diede uno scalpello un po’ troppo forte) al di sotto. In quelle stanze, in base ad alcune conversazioni whatsapp pervenute a Pietro Orlandi, potrebbe esserci stato un passaggio di Emanuela, dei suoi resti, dei suoi effetti personali.

Anche Londra potrebbe conservare ancora tracce della ragazza che, stando a quanto è scritto in un dossier di 5 pagine ritrovato dal giornalista Emiliano Fittipaldi in una cassetta di sicurezza del Vaticano, sarebbe stata tenuta in vita in un convento retto dai padri Scalabriniani a Londra. 40 anni sono tanti. È la metà della vita media di una persona, quella che a Emanuela è stata strappata e che i suoi famigliari, hanno trascorso nella continua, incessante e estenuante ricerca della verità. Al padre Ercole Orlandi scomparso nel 2004, è stata negata la possibilità di conoscere il destino della sua allora bambina. Prima di morire disse: “Sono stato tradito da chi ho servito”, avendo ben intuito cosa le era accaduto. Oggi, tre sorelle, un fratello e una madre, Maria Pezzano Orlandi, 93enne, da 40 anni esatti non aspetta altro che conoscere almeno la verità.

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