Quanto tempo ci vorrà per silenziare e far cadere nel dimenticatoio, il caso della “Chat degli 80” condivisa da un gruppo di pubblicitari dell’agenzia We are social? Uomini tra i 21 e i 45 anni, dirigenti e gregari, si scambiavano le foto di colleghe e stagiste per schernirle con commenti che le degradavano a subumani pezzi di carne. Anche questa volta, abbiamo toccato con mano la trasversalità di una sottocultura che invece di indebolirsi pare farsi sempre più feroce e contamina spazi e relazioni rendendo poco accoglienti se non ostili alle donne, luoghi di lavoro e luoghi pubblici. Dovrebbe essere chiaro per tutti, ora, che il problema di una incivile relazione con le donne e con la sessualità non riguarda solo gli immigrati che molestano le donne per strada o sui treni. Ne vogliamo parlare?
Nella Chat degli 80, il disprezzo sputato su colleghe e stagiste cementava gerarchie e complicità maschili e un malsano senso di appartenenza. L’esaltazione di fantasie di stupro da parte di chi chi ce l’aveva più grosso e più lungo, suscitava la compiacenza del gruppo mentre le donne che hanno avuto accesso occasionale alla chat, venivano prese da conati di vomito. Chi ne faceva parte non poteva sottrarsi al tiro al bersaglio sulle colleghe o veniva tacciato di essere “frocio”. Dalla pubblicità si passava ai fatti. Alcune donne dell’agenzia hanno raccontato di aver subito umiliazioni e molestie.
Non è la prima volta che in Italia si denunciano discriminazioni e ricatti sessuali nei luoghi di lavoro. Le giovani donne hanno aspettative, desideri di carriera, speranze di guadagno. Il lavoro è un porto a cui approdare dopo anni di studio e gavetta ma il rischio di subire molestie e ricatti sessuali sul lavoro è sempre dietro l’angolo. Le denunce fatte all’autorità giudiziaria sono poche, le archiviazioni tante. Le assoluzioni per una non tempestiva reazione delle vittime non incoraggiano a uscire dal silenzio.
A scoperchiare questo ennesimo Vaso di Pandora sulla mascolinità tossica e le molestie sessuali, è stato un uomo. Massimo Guastini, pubblicitario, due volte presidente dell’Art Directors club italiano, da 12 anni segnala abusi ed episodi di sessismo. Nell’intervista pubblicata sulla pagina fb di Monica Rossi (pseudonimo di un editor), ha incoraggiato le vittime a fare nomi e cognomi, smontando l’alibi di coloro pensano di non avere responsabilità perché “io non l’ho mai fatto, non è un mio problema”. Dopo Guastini anche uno dei partecipanti alla chat ha rilasciato dichiarazioni tra un mea culpa, imbarazzo e una certa dose di ambiguità. Il cammino verso una piena coscienza è lungo. Non è sufficiente confessare di essere stati delle “merde”.
In passato alcune donne avevano provato a togliere coperchi sui silenzi. Asia Argento, nei giorni del MeToo americano, raccontò di aver subito una violenza sessuale da parte di Weinstein e venne ferocemente attaccata sulla stampa e in trasmissioni televisive, additata come una profittatrice in cerca di notorietà. Alcune attrici denunciarono molestie nel mondo del cinema, subendo altri attacchi e accuse di mentire. Alla causa diede il suo contributo anche Daniela Santanchè che apostrofò le attrici che denunciavano denunce quali “sfigate che l’avevano data male”. Per un altro caso, che coinvolgeva un personaggio pubblico, la Procura aprì velocemente un fascicolo per un’ipotesi di reato poi archiviato.
La reazione contro un MeToo italiano, che non avvenne mai, fu tempestiva. Buona parte della televisione e della stampa si mise di lena a delegittimare le testimonianze, sollevare dubbi, attaccare chi svelava e buttare tutto in caciara. Per qualche giorno le donne si sfogarono su twitter con l’hashtag Quella volta che ma si gridò subito alla caccia alle streghe, denunciando i pericoli delle denunce collettive e indiscriminate, paventando il rischio di vendicative gogne ai danni di poveri innocenti per abusi mai commessi.
Olga Ricci è lo pseudonimo di una giornalista che nel 2015 raccontò di aver subito molestie sessuali dal direttore di un quotidiano. Ma il Vaso di Pandora sul giornalismo restò sigillato. Le recensioni del libro Toglimi le mani di dosso (Chiare lettere) si contarono sulle dita di una mano. Per qualche tempo se ne bisbigliò agli eventi del 25 novembre e dell’8 marzo, poi calò il sipario. Nel 2014 sui quotidiani si denuncia lo sfruttamento e le violenze subite dalle braccianti rumene in Sicilia. Nel libro Oro Rosso. Fragole, pomodori, molestie e sfruttamento nel Mediterraneo (settenove), la giornalista Stefania Prandi racconta gli inferni quotidiani vissuti da donne che raccolgono il cibo che arriva sulle nostre tavole.
Nel gennaio del 2023 l’associazione Amleta denuncia il problema delle molestie sessuali nel mondo dello spettacolo. Nella quasi totalità dei casi gli autori sono uomini (solo 2 donne su più di 200 testimonianze): registi, attori, produttori, insegnanti, eppoi agenti, giornalisti, tecnici. Anche questo MeToo italiano si è affievolito ancor prima di nascere.
Nel 2022 a Rimini, vengono denunciate molestie sessuali durante il raduno degli alpini. Le attiviste di Non Una di Meno raccolgono gli sfoghi e la rabbia delle donne, ci sono decine di testimonianze. La reazione è aspra. Si annunciano querele da parte dell’ufficio legale dell’Ana – Associazione Nazionale Alpini – eliminando qualunque possibilità di aprire una riflessione interna sul diritto delle donne a muoversi nello spazio pubblico senza essere offese e aggredite. Sebastiano Favero, presidente dell’Ana si dice amareggiato per la vicenda: “Avevamo invitato tutti alla prudenza dopo le prime segnalazioni di presunte molestie a Rimini. Purtroppo c’è chi ha generalizzato offendendo e condannando l’intero corpo degli alpini per i comportamenti di alcuni. Comportamenti che, va sottolineato, sono tutti ancora da accertare”.
“Presunte molestie, comportamenti da accertare” , forse, chissà, ma sì, però… Nella primavera scorsa, poco prima del raduno degli Alpini che si sarebbe tenuto a Udine, Selvaggia Lucarelli ha scoperto come le Penne nere stavano affrontano la questione. Nelle loro chat veniva consigliato di non cedere alle provocazioni delle donne che si fanno molestare per poi filmare e denunciare. Le sciagurate insomma inducevano in tentazione i poveri alpini. The end.
In questi giorni Tania L, copywriter freelance, sta raccogliendo testimonianze sulla sua pagina Instagram Taniume. Alcuni quotidiani commentano che questo “è solo l’inizio” dello svelamento di una realtà che discrimina pesantemente le donne. L’ennesimo inizio, l’ennesimo svelamento.
@nadiesdaa