Quella scorsa è stata una settimana bella impegnativa per Elly Schlein. Prima la direzione nazionale, con il lancio di un’estate militante. E poi, sabato, nella stessa giornata, la mattina con la Cgil e il pomeriggio al Pride di Milano – e più felice coincidenza non poteva esserci per rimarcare che diritti sociali e civili sono inscindibili.

Delle parole alla direzione del 12 giugno qualcuno ha messo in luce un’incoerenza: cominciava col segnalare la necessità di “caratterizzarsi per alcune battaglie fondamentali”, promettendo una sintesi che in realtà non mantiene. L’agenda che Schlein propone per l’Italia e per l’Europa nelle venti pagine successive tiene insieme molte cose. La colpa però non è sua: è della realtà, che è più complessa di quanto certe volte ci piacerebbe.

Forse è proprio questa la prima e più grande sfida (politica e, in un certo senso, culturale – se le due cose possono essere scisse) della nuova segretaria: convincere che la realtà è più complessa di certe rappresentazioni della nostra destra, e che dunque merita uno sguardo, un giudizio e una prospettiva più articolata, meno banalizzante. Mentre dall’altra parte c’è una destra che con le idee si regola come si regolava donna Prassede: “come dicono che si deve far con gli amici: n’aveva poche; ma a quelle poche era molto affezionata”. Tra queste poche idee c’è, ad esempio, il presidenzialismo, o comunque confuse e non chiarite formule di elezione diretta del “capo”. Il che risponde ad un problema complesso – quello della governabilità – con una banale semplificazione, perché chiunque conosca un po’ il funzionamento dei sistemi politici sa che la leva per ottenere la stabilità dei governi non è quella dell’elezione diretta. (Senza contare – qualcuno dovrà pur dirlo – che la nostra Costituzione prescrive rappresentatività, non governabilità, e certo non governabilità ad ogni costo).

Nelle sue parole alla direzione, Schlein il tentativo di alzare il velo sulla complessità del tema e di smascherare l’inganno semplificatore della destra lo fa, proponendo un pacchetto di interventi che, se costruito bene, davvero potrebbe – questo sì – contribuire alla governabilità: primi tra tutti, riforma della legge elettorale, sfiducia costruttiva, e legge sui partiti.

E la stessa operazione la segretaria la fa su altri temi complessi che meriterebbero uno sguardo meno banale.

C’è il tema dell’Ucraina: spinosissimo, ma non si capisce come – al di là di irrigidimenti pure comprensibili, per carità – si possa abbandonare lo sforzo di tenere insieme il supporto, anche con aiuti militari, all’autodifesa del popolo ucraino, con la prospettiva della “ricerca di un approdo di pace”.

C’è quello della riforma della giustizia, e in modo particolare del destino del reato d’abuso d’ufficio. Dice bene Schlein quando segnala che la sua abrogazione con un tratto di penna rischierebbe di crearci problemi con l’Europa. Certo, è vero che quel reato non ha dato finora grande prova di sé, ma cancellarlo – senza tentare di riformarlo per “delineare e tipizzare meglio la fattispecie ed evitare alcuni effetti distorsivi” – è proprio il classico esempio di risposta semplice ad un problema complesso.

Gli esempi sarebbero ancora moltissimi, e ciascuno potrà trovarne altri scorrendo il testo della relazione alla direzione del Pd. Si ritroverà sempre lo stesso paziente sforzo di illustrare come la realtà sia più complessa delle facili soluzioni proposte dalla destra, e anzi, come queste facili soluzioni rischino di creare nuovi problemi. Ma tanto poi ci sono le sanatorie, che idea geniale.

Non è una sfida facile. Le soluzioni semplici piacciono a tutti, o comunque ai più. L’eccesso della realtà rispetto alle sue rappresentazioni è qualcosa che sgomenta. E le semplificazioni offrono riparo da questo sgomento: tranquillizzano, rasserenano. Bagehot, nella seconda metà dell’ ‘800, lo spiegava bene a proposito della monarchia inglese. “La natura di una Costituzione, l’attività di un’assemblea, il gioco dei partiti, la formazione invisibile di un’opinione dominante, sono fatti complessi, difficili da capire e facili da fraintendere”. Invece, se c’è uno solo al comando, è tutto più comprensibile, tutto più semplice. L’elezione diretta del ‘capo’, in fondo, piace anche per questo.
Non si dica, però, che sbaglia Elly Schlein a non assecondare quest’onda di semplificazioni.

Qui la gara non è a chi la spara più facile. La gara è invece quella di far comprendere agli elettori quanto offensive siano nei loro riguardi le semplificazioni di una destra che banalizza in malafede la realtà. Quanto offensivo sia della loro stessa realtà un governo che promette tocchi magici pur di mantenersi stretto il consenso. E quanto invece ci sia bisogno di risposte complesse, attente, sapientemente bilanciate – e pazienza se richiedono un minimo sforzo di ascolto in più.

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