Un composto molecolare, che attiva il virus dell’immunodeficienza umana di tipo 1 (HIV-1) latente nelle cellule, si è rivelato un promettente trattamento per il virus dell’immunodeficienza umana (HIV). Lo dimostra lo studio condotto da un gruppo di ricerca multi-istituzionale, guidato da ricercatori della Tokyo Medical and Dental University (TMDU) e pubblicato sull’European Journal of Medicinal Chemistry. Lo studio fornisce un contributo significativo per il trattamento del virus dell’immunodeficienza umana di tipo 1 (HIV-1), il virus alla base della sindrome da immunodeficienza acquisita (Aids). Il virus dell’immunodeficienza umana (HIV) è difficile da eliminare. Sebbene la replicazione virale possa essere inibita dalla terapia antiretrovirale (ART), che di solito viene somministrata come combinazione di farmaci, questa non è in grado di curare completamente l’infezione da immunodeficienza umana di tipo 1 (HIV-1). Questa condizione si verifica perché il virus forma infezioni latenti nelle cellule, dove rimane presente ma inattivo e quindi non suscettibile alla terapia farmacologica. L’eradicazione del virus dell’immunodeficienza umana di tipo 1 (HIV-1) latente è l’ostacolo principale alla cura del virus dell’immunodeficienza umana (HIV). Ora, il gruppo di ricerca giapponese ha identificato un composto che può attivare e consentire l’eradicazione di questi serbatoi latenti contenenti il virus dell’immunodeficienza umana (HIV).

Gli agenti di inversione della latenza (LRA), farmaci che invertono il processo di latenza e provocano l’attivazione del virus dell’immunodeficienza umana (HIV), possono essere utilizzati in un approccio “shock and kill” per affrontare la malattia. Lo shock degli agenti di inversione della latenza (LRA) riattiva i serbatoi latenti del virus dell’immunodeficienza umana (HIV), che possono, quindi, essere uccisi dal sistema immunitario del paziente. Tuttavia, mentre l’uso degli agenti di inversione della latenza (LRA) ha mostrato in precedenza la riattivazione delle cellule latentemente infette, non è stata osservata alcuna riduzione della popolazione di serbatoi latenti del virus dell’immunodeficienza umana (HIV). In questo studio, gli autori si sono concentrati su YSE028, un derivato di una molecola chiamata DAG-lattone. Questo genere di molecole è già stato studiato come terapia per il cancro e la malattia di Alzheimer. L’YSE028 attiva una proteina, chiamata proteina chinasi C (PKC), che ha una comprovata attività di inversione della latenza e non mostra alcuna tossicità significativa per le cellule. “Un nostro precedente studio aveva dimostrato che YSE028 era in grado di provocare la riattivazione delle cellule latentemente infettate del virus dell’immunodeficienza umana (HIV) e di indurre successivamente la morte cellulare”, ha spiegato Takahiro Ishii, autore principale.

“Abbiamo, quindi, esplorato derivati chimici strutturalmente simili a YSE028 con un’attività di inversione della latenza ancora maggiore”, ha specificato Ishii. Gli scienziati hanno usato una linea cellulare, chiamata J-Lat 10.6, cellule infettate in modo latente dal virus dell’immunodeficienza umana di tipo 1 (HIV-1), poi modificate per esprimere una proteina a fluorescenza verde al momento della loro attivazione che ha permesso di individuare le cellule attive. Il gruppo di ricerca ha, inoltre, identificato le caratteristiche che influiscono sulle varie qualità della molecola, come l’affinità per il legame con la proteina chinasi C (PKC) e la resistenza alla degradazione da parte di alcuni enzimi che possono influenzare la stabilità dei composti. “I nostri dati saranno altamente utili per la progettazione di derivati del DAG-lattone per attivare la PKC, e potrebbero essere fondamentali per il trattamento del virus dell’immunodeficienza umana”, ha detto Hirokazu Tamamura, autore senior. L’uso di questi derivati del DAG-lattone appena identificati, in combinazione con farmaci anti-HIV e altri agenti di inversione della latenza (LRA), potrebbe avvicinarci a una cura completa per il virus dell’immunodeficienza umana di tipo 1 (HIV-1)”, ha concluso Tamamura.

Lo studio

Lucrezia Parpaglioni

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