E’ morta Teresa Campos de Pastor. Un nome (purtroppo) sconosciuto ai più ma che lascia un vuoto tremendo a San Pedro Sula (Honduras) e in tutto il paese centroamericano, tanto che le condoglianze alla famiglia sono arrivate anche dal governo della presidentessa Xiomara Castro.

Una donna il cui esempio contrasta con le caratteristiche di una società sempre più individualista, frenetica, del “tutto e subito”, una donna che ho avuto il piacere e il privilegio di conoscere personalmente a febbraio 2023 e che mi ha riempito il cuore di speranza e di insegnamenti. Teresa ha lavorato per portare cultura, memoria e identità in una delle zone dell’Honduras più abbandonate, più lasciate a se stesse, più esposte ai mali strutturali che piagano questa zona dell’America Latina.

Questa energica donna originaria di Città del Messico (25 maggio 1945) si è spenta all’età di 78 anni, dopo aver passato più della metà della sua vita in Honduras, sua patria d’adozione. Una operazione al cuore le è stata fatale e la notizia è circolata come una doccia d’acqua fredda sabato 24 giugno sulla stampa locale in Honduras. Sì, perché Teresa era una delle custodi, probabilmente una delle più appassionate, della memoria di San Pedro Sula, centro economico del paese dell’America Centrale (in perenne rivalità con la Capitale Tegucigalpa) ma anche città nota alle cronache internazionali soprattutto per il suo altissimo tasso di violenza generalizzata, estorsioni e omicidi.

A San Pedro Sula si trova un gioiello del patrimonio nazionale, si tratta del Museo di Antropologia e Storia che custodisce la memoria e il patrimonio della Valle di Sula. Un museo aperto da quasi tre decenni e che deve la sua magnificenza e fama al lavoro instancabile di una donna, Teresa Campos de Pastor appunto, che con passione, determinazione, professionalità e affetto ha portato questa istituzione a un porto sicuro.

Teresa era la direttrice tuttofare del museo, messicana di nascita ma in Honduras da quasi 50 anni, si era legata al progetto museale addirittura da prima della sua apertura. Se oggi sia le persone locali che gli stranieri possono visitare e fruire di questa immensa ricchezza culturale, è grazie all’instancabile lavoro di questa antropologa messicana che con talento, capacità amministrativa e “don de gente”, ha saputo navigare nelle difficili acque della promozione della cultura in Honduras, riuscendo a far sopravvivere questa importante istituzione anche al confinamento prodotto dalla pandemia da Covid-19.

Dopo essere arrivata in Honduras nel 1975, grazie al suo matrimonio con Rodolfo Pastor de María y Campos, Doña Teresita (come era conosciuta dai Sampedranos) si è donata anima e corpo al paese centroamericano, diventando una donna iconica e un esempio per le nuove generazioni.

Riguardando le foto di quel sabato 4 di febbraio, quando si era offerta di aprire il museo (chiuso di solito il fine settimana) per permettere a me ed alcuni colleghi di poter godere di quella meravigliosa collezione di arte, cultura e storia, non posso non ricordare la sua gentilezza, il suo sorriso, la sua enorme competenza e la sua modestia. Abbiamo trascorso il pomeriggio ascoltando la storia di quel museo, che è anche l’eredità che Teresa lascia a San Pedro Sula e a tutto l’Honduras, un progetto di memoria viva, di impegno, costanza e un esempio di come la città possa e debba rifiorire.

Sul sito web del museo, possiamo infatti leggere che fin dalla sua inaugurazione (1994) questo centro si è dedicato alla tutela del patrimonio nazionale, educando e diffondendo la cultura, stimolando la ricerca, creando e rafforzando un’identità che affonda le radici nella ricchezza ancestrale della Valle del Sula.

La storia di Teresa non era passata inosservata in Messico, paese che aveva lasciato per seguire l’amore e al quale però era rimasta fortemente legata. Nel 2016 le era stato infatti assegnato il premio Ohtli, una parola della lingua indigena náhuatl che significa “Cammino” e che viene conferito ai messicani e alle messicane che si distinguono per alti meriti fuori dalla loro patria. Un premio quanto mai meritato, che manifestava un impegno, una disciplina e una dedicazione esemplari, quasi una missione che ha visto Teresita guidare questo progetto museale nel quale ha sintetizzato in modo strabiliante i suoi studi e tutte le sue grandi doti.

Alla consegna di quel meritato premio non sono mancate le parole di ringraziamento per colleghi e colleghe, sostenitori e amici del museo, perché la grandezza di Teresa risiedeva anche nella sua umiltà e nella sua capacità di pensare alla comunità: “Sembra proprio che senza volere abbia lasciato un’impronta, un buon cammino che il destino mi ha riservato” furono le parole con le quali terminò il suo discoro. Io d’altro canto la ricordo sulla soglia della porta del museo, ringraziandomi per aver trovato il tempo di visitarlo (lei che lo avevo aperto un sabato pomeriggio apposta per noi), con un sorriso genuino di chi della vita, ha trovato il senso e il proposito.

Ciao Teresa, che la terra ti sia lieve.

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