La cremlinologia ai tempi dell’Urss era la scienza inesatta con la quale gli esperti delle dinamiche di potere dell’Unione Sovietica cercavano di spiegare – magari analizzando le fotografie ufficiali – quel che stava succedendo e quel che avrebbe potuto succedere nella stanze più segrete del Cremlino. Com’è noto, i cremlinologi quasi sempre fallivano nei loro intenti. Lo stesso succede oggi, al tempo dell’enigmatico Putin e del suo regime sempre più autocratico e illiberale. Dopo quel che è successo sabato con l’incredibile (ma breve) ribellione di Prigozhin e dei suoi mercenari Wagner, la domanda che tutti gli analisti che si occupano della Russia contemporanea è una sola: quanto ancora durerà il potere (quasi) assoluto di Putin e della sua cleptocrazia? Di certo, anche sabato scorso, Putin nel condannare la ribellione e minacciare Prigozhin, è ricorso al passato tragico della Russia evocando il “tradimento” del 1917, e noi sappiamo quanto Vladimir Putin abbia strumentalizzato il passato della Russia per piegarlo alla sua propaganda. Ma così, manipolando la storia di ieri, Putin ha derubato alla Russia il suo avvenire.
Dunque, per rispondere alla domanda fatidica, posso solo scrivere che non abbiamo prove che il regime di Putin stia vacillando. Possiamo solo immaginarlo. Qualcuno, vorrebbe auspicarlo, dimenticando che un eventuale successore potrebbe essere anche peggio di Putin.
Mi limiterò, quindi, a mettere in piedi una scaletta degli eventi, partendo:
1) dal presidente russo che ai primi di giugno annunciava l’integrazione delle milizie private , “i cui membri dovrebbero firmare i loro ingaggi contrattando con l’esercito russo”.
2) Yevgeny Prigozhin s’infuria. Il capo del gruppo Wagner, la milizia privata fiore all’occhiello del Cremlino che l’ha generosamente finanziata e che la usa come suo strumento nella politica imperialistica russa in Medio Oriente e in Africa, da sempre ha criticato l’inettitudine dei vertici militari russi e l’incompetenza del ministro Sergej Shoïgu, molto legato al capo del Cremlino e vecchia volpe della politica (è ministro fin dal 1991, un veterano della “verticale del potere” russo). Ha spesso e volentieri sbraitato contro le ritorsioni dell’esercito nei confronti dei suoi uomini (“ci negano armi, munizioni, viveri, carburante”). Negli ultimi tempi ha denunciato le bugie sulla guerra e sugli “infondati” motivi su cui si è basata l’Operazione Speciale, ha rivelato il massacro dei soldati russi, ben al di sopra delle verità ufficiali, così come i successi ucraini, a dispetto delle versioni propagandistiche. Di fatto, è la variabile impazzita che il Cremlino non riesce più a tollerare. E tuttavia, Prigozhin continua nella sua dissacrante campagna contro i vertici militari e il ministero della Difesa…
3) Sappiamo che dopo lunghe trattative, e minacce di far intervenire l’aziazione, Prigozhin ha accettato di fermare la sua marcia verso Mosca in cambio di un compromesso: i suoi uomini amnistiati ritorneranno nelle loro basi e lui se ne andrà a Minsk. Trai mediatori, l’astuto Aleksandr Lukashenko, presidente della Bielorussia e vassallo di Putin. L’inchiesta sull’ammutinamento di Prigozhin, tuttavia, resta ancora aperta. Si teme per la sua sorte: è ormai diventato un bersaglio. Forse, con tanto di taglia milionaria (in dollari).
4) Secondo l’analista russa Tatiana Stanovaya, 45 anni, fondatrice del centro di analisi R. Politik (the Reality of Russian Politics) e senior fellow al Carnegie Russia Eurasia Center, “Putin non ha bisogno del Gruppo Wagner e di Prigozhin. Può sbrogliarsela con le sue proprie forze. Di questo ne è certamente convinto”.
5) Qual era il vero scopo della ribellione, poi abortita, di Prigozhin? Apparentemente, far cacciare il ministro Shoïgu e il capo di Stato Maggiore delle forze armate russe, generale d’armata Valerij Vasilievic Gerasimov. Ma anche dimostrare la fragilità della sicurezza interna russa.
6) Sinora, Putin non ha cambiato nulla nell’organigramma della Difesa. Quanto al ministro Shoïgu, clamorosamente assente nelle ore cruciali della ribellione, ha fatto circolare lunedì 26 giugno un video in cui lo si vede in visita alle truppe del fronte.
7) Prigozhin ha agito da solo? In poche ore è riuscito a conquistare parte della città di Rostov (la zona sud-ovest), un milione di abitanti e quartier generale logistico dell’esercito. Alcune unità mobili del suo gruppo sarebbe arrivato a 400 chilometri da Mosca senza incontrare alcuna resistenza. In un altro video, si vede il primo vice capo dell’intelligence militare (GRU) che si rivolge ai combattenti della Wagner ingiungendogli di arrestare la loro ribellione, pur mantenendo toni poco rispettosi nei confronti di Gerasimov e Shoïgu. Indizi che confermano quanto le furiose proteste di Prigozhin abbiano fatto breccia nell’establishment militare russo.
8) Bisognerà valutare nei prossimi giorni che impatto tutto ciò abbia avuto sul morale delle truppe russe. Una considerazione è necessaria: la Wagner è considerata unità d’élite, ben al di sopra della media dell’esercito russo, anche se ora esso è meno dipendente dei mercenari (la cui mitologia è assai diffusa tra i ranghi e le periferie urbane).
9) Per molti analisti la marcia della Wagner ha dimostrato la decomposizione dell’esercito e dello Stato. I mercenari di Prigozhin sono avanzati con la facilità di un coltello nel burro.
10) Sarà altresì importante capire come Putin abbia ripreso saldamente in mano il potere messo in crisi dalla spericolata azione di Prigozhin: nessuno, infatti, lo ha seriamente contrastato. A Rostov, inoltre, molta gente ha applaudito i mercenari. Altro sintomo. La gente ha capito che la tanto decantata sicurezza interna del Paese sia un bluff. Ed ha constatato l’assenza delle riserve. Il capo della Wagner non solo voleva salvare il suo gruppo, ma probabilmente contava sull’appoggio di altre forze. Poi, ha fatto dietrofront. Come mai? Di certo ha documenti e prove nascoste chissà dove che potrebbero compromettere il gruppo dirigente del Cremlino. Aver rastrellato cinquemila banconote (per un totale di 4 miliardi di rubli, ossia circa 43 milioni di euro) nella sede del Gruppo Wagner a San Pietroburgo, è un segnale: “Servivano per pagare i miei soldati”, ha dichiarato Prigozhin tramite Telegram, “lo faccio sempre utilizzando contanti”. Come dire: i miei mercenari badano al sodo, non alle chiacchiere. O li pagate. Oppure, spariscono.
11) Tra i grandi assenti di sabato 24 giugno, ci sono i truculenti miliziani della guardia pretoriana di Ramzan Kadyrov, il presidente ceceno, grande alleato di Putin. Chi li ha visti? Nessuno. Rintanati chissà dove. Magari, in attesa di vedere come sarebbe andata a finire…di sicuro, una forza militare privata in mano ad un ex criminale (condannato nel 1981 a tredici anni di galera per furto e altri reati, pena ridotta poi a nove anni) è apparsa più potente ed efficace dell’insieme delle forze di sicurezza del Paese.
12) Grosse crepe nel sistema di compensazione (e neutralizzazione) delle forze di sicurezza escogitato da Putin per salvaguardare il suo potere autocratico. E’ stato il capo del Cremlino ad incoraggiare l’espansione delle strutture militari istituzionali legate ai siloviki, i funzionari dei ministeri della cosiddetta “forza” (Esteri, Difesa, Interni, Polizia, Intelligence, Guardia di frontiera). Ad esse si sono aggiunte parecchie armate private, come quella Wagner o quella di Kadyrov o quella di Sergej Axionov, governatore della Crimea, che alla fine del 2022 si è costituito il suo piccolo esercito. Nel grande gioco si è inserito il ministro Shoïgu, con la sua milizia Patriot. E la Gazprom, con i mercenari ingaggiati nelle formazioni Potok (“flusso”) e Fakel (“torcia”), le unità principali prezzolate dal gigante energetico: l’azienda non ha mai ammesso il legame con queste unità, molti dei volontari sono stati reclutati nel Donbass e in Crimea. Chiaro il coinvolgimento militare, per preservare interessi politici ed economici e ricordare a Putin chi ha contribuito allo sforzo bellico. D’altra parte, il “pacchetto” offerto dai privati come Gazprom garantisce vantaggi: un milione di rubli per la missione, garanzia di un posto di lavoro dopo, lungo periodo di ferie dopo il servizio militare, cose che il Cremlino non potrebbe sostenere e che fanno comodo perché così si evita di ricorrere alla mobilitazione generale, lo spauracchio dei russi. Allo stesso modo, però, tutti questi gruppi paramilitari tratteggiano conflitti potenziali all’ombra del Cremlino per la spartizione violenta del potere. Un processo di paramilitarizione pericoloso. Troppi signori della guerra. Per il politologo Vladimir Pastukhov, 60 anni, senior ricercatore all’University College di Londra, siamo in presenza di “due verticali militari parallele”, una istituzionale (appunto, quella legata ai vari ministeri “della forza”), e quella informale, basata su legami criminali e clanistici.
Fino a quando questo precario equilibrio resisterà? Putin è sicuro di resistere? Pare che nel momento più critico della “marcia su Mosca”, abbia abbandonato il Cremlino e se la sia filata via a bordo di un aereo presidenziale. Vero o falsa che sia questa notizia, è circolata a Mosca, quasi vox populi: indizio, comunque, di incertezza: del presente. Del futuro.