Il cadavere di un ragazzo marocchino di 24 anni è stato ritrovato il 7 maggio scorso grazie alla segnalazione di alcuni passanti: era abbandonato, seminudo e con evidenti segni di percosse e torture, in una piazzola di sosta della SS336 nel Comune di Lonate Pozzolo (Varese). In seguito alle indagini condotte dal Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia di Roma (Interpol), con l’ausilio della Polizia Scientifica, è stato possibile ricostruire il movente dell’omicidio, connesso a un regolamento di conti interno al gruppo criminale di cui la vittima faceva parte dopo un furto di droga e denaro da parte del 24enne. Nella mattinata di oggi, la Polizia di Varese ha concluso una vasta operazione che ha portato all’esecuzione di 26 misure cautelari: 24 persone in carcere, uno agli arresti domiciliari e un divieto di dimora in Lombardia e Piemonte.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, il bottino del furto si aggirava attorno ai 30mila euro, che il ragazzo ha sottratto agli altri membri della banda di cui faceva parte con l’obiettivo di aprire una sua piazza di spaccio in provincia di Varese. Nei giorni successivi al furto, il gruppo criminale è riuscito a tendere una trappola al 24enne: con la scusa di dover sostenere un colloquio con il capo del gruppo, il ragazzo è stato portato all’interno di una zona boschiva, dove però ad attenderlo c’erano vari componenti del gruppo che hanno aggredito la vittima con estrema violenza fino a ucciderlo. Il suo corpo è stato poi trasportato dal bosco fino alla piazzola di sosta dove è stato trovato la mattina successiva, a seguito della segnalazione da parte di alcuni passanti.

Dopo le torture, c’è stato un tentativo di mediazione con il padre del ragazzo, residente in Spagna, che si è detto disponibile a recuperare la cifra sottratta dal figlio. In quel momento però il 24enne era già morto. In seguito al ritrovamento del cadavere, il capo del gruppo è fuggito a sua volta Spagna, lasciando la piazza di spaccio che controllava a dei fidati collaboratori.

L’indagine sull’omicidio ha permesso di scovare un sistema di spaccio ben definito e organizzato, che avveniva in maniera strutturale all’interno dei boschi ed era solitamente gestito da coppie di uomini quasi sempre di nazionalità marocchina. E’ stato accertato dagli investigatori che il gruppo indagato disponeva di auto e appartamenti affittati da prestanome. Nella disponibilità del gruppo criminale, poi, c’erano anche armi, sia bianche, sia da fuoco, anch’esse nascoste nei boschi di spaccio ma ostentate sui profili Facebook e utilizzate per rappresaglie e in caso di contrasti con gruppi rivali.

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