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Al festival Lgbt+ a Kiev ho sentito ottimismo: per una volta la guerra spinge verso i diritti

Stralci di vita quotidiana e di svolta arcobaleno dentro e attorno al Festival cinematografico Lgbt di Kiev (che si chiama SunnyBunny per una specie di gioco scelto anni fa, ma anche più semplicemente Kyev Queer Film Festival). Non c’è ancora – comprensibilmente – una significativa produzione cinematografica locale, attualizzata alla nuova situazione creata dalla invasione russa del 24 febbraio. Ma sono stati presentati alcuni corti interessanti, girati pochi mesi fa.

Un soldato (transgender, FtM) racconta nel documentario perché ha voluto arruolarsi – anagraficamente non era tenuto – e il suo stupore quando un commilitone tutto tatuato gli ha detto: “sai, io sono uno di quelli che hanno danneggiato la vostra sede del Kharkiv Pride. Mi dispiace molto. Adesso che ti ho conosciuto ancora di più. Mai lo rifarei”. Un ragazzo gay che non hanno voluto nell’esercito al fronte perché troppo effeminato, lo hanno invece preso nella cosiddette truppe di difesa territoriale. “Ti vieni a trovare con gente con cui non saresti mai andato a bere qualcosa e magari, quando sarà finito tutto, torneremo agli opposti, oppure andremo a bere insieme, chissà”.

In un altro corto, due donne sulla trentina si incontrano sul treno, si guardano, hanno voglia di parlare e di conoscersi. Parlano di Kharkiv, Kiev, le loro città amate. Una è tornata da poco da Berlino: “ma come facevo a stare là se la mia mente e il mio cuore erano sempre qui”. Dicono cose semplici e profonde al tempo stesso. “E’ come se una persona che ti è molto cara è molto malata, le vuoi stare vicino anche quando non puoi fare nulla“. Meglio Kharkiv o Kiev? “Scendi a Kiev con me, stiamo insieme almeno un giorno”. Passeggiano, si sorridono, si danno un bacio nel parco. Alla sera c’è un allarme antiaereo e un blackout, entrano nel portone e vanno nello scantinato con la luce dei cellulari. Dura poco, risalgono. Altro dialogo: “Quando finirà tutto questo ne soffriremo ancora a lungo”. “Mah, io dico di no, la vita sarà più forte“.

Raccolgo commenti all’uscita di questo corto, che si intitola Prima del coprifuoco. “Sembrano i nostri discorsi di tutti i giorni”, dicono i ragazzi. Hanno guardato film di varie nazioni, in inglese con sottotitoli in ucraino o con doppi sottotitoli inglese-ucraino. I partecipanti non sono stati moltissimi ma l’atmosfera era molto buona. Nell’atrio a un certo punto ho visto due anziane signore, e non avevano l’aspetto di intellettuali. Niente illusioni: “Siamo entrate per ripararci dal temporale, non sapevamo di questo festival. Comunque per noi non ci sono problemi. Se sono tranquilli, i giovani scelgano la loro vita”.

Nel parchetto vicino al cinema, a tarda sera, quando ormai le proiezioni sono finite e si avvicina il coprifuoco di mezzanotte, un gruppo di giovani beve birra. Non sono Lgbt, né sono entrati nel Festival ma ne parlano con disinvoltura e un pizzico di orgoglio locale (Podil quartiere storico e ‘avanzato’ di Kyev). “Ma che bravo, un signore della tua età che attraversa mezza Europa per sostenere il festival Lgbt – mi dice un 25enne che starà fuori fino a mezzanotte – tanto abito lì dietro”.

Tornando ai giovani Lgbt da me interpellati al Festival sono tutti ottimisti. Le cose stanno cambiando. Pensano che la legge delle unioni civili passerà. “Certo, io vivo in una ‘bolla’ della capitale – concede Eugene – se fossi in un villaggio la vivrei diversamente. Ma per tutti i giovani Lgbt ucraini si è posto l’interrogativo: restare e combattere, combattere la Russia e l’omofobia, che poi sono un po’ la stessa cosa, o fuggire in un altro paese. E come vedi, siamo qui”.

Come ho già scritto, è l’invasione russa ad aver creato condizioni e necessità di una sorta di svolta arcobaleno in Ucraina. Questa analisi la condividono tutti. “L’atteggiamento della opinione pubblica media è cambiata. Più la Russia è omofobica e meno lo dobbiamo essere noi. I militari Lgbt si sono fatti sentire: avete bisogno anche di noi e noi abbiamo bisogno di sentirci accettati e che i nostri partner siano riconosciuti. A partire dai rischi del soldato, che può essere ferito gravemente, o morire, e il suo partner attualmente non è previsto”.

È forse la prima volta nella storia Lgbt, da Stonewall in poi, che succede una cosa del genere, e cioè che è una guerra a spingere verso i diritti e l’accettazione sociale. Però, come sempre, c’è bisogno di sostegno, pressioni, coming out. L’approvazione della legge delle unioni civili in Ucraina, in una regione del mondo che vive un momento così poco propizio, avrebbe un grande significato. In alcuni momenti e luoghi dei pride europei si è discusso di quanto peso dare alle bandiere ucraine. Ma è ancor più il momento di “inviare armi”, in questo caso virtuali, alla causa dei diritti civili, è il momento di andare a Kiev con la bandiera arcobaleno. Non per provocare, come sarebbe stato fino a pochi anni fa, ma per sostenere.