Dal regolamento Ue sul Ripristino degli ecosistemi, che ha appena registrato l’ennesimo scivolone, alle restrizioni previste dalla revisione della direttiva sulla qualità dell’aria contro cui si è schierato “il blocco padano”, nonostante l’Italia sia stata condannata dalla Corte europea di Giustizia per il superamento dei limiti imposti dalla legge e abbia ancora una procedura di infrazione aperta. E poi c’è stato il tentativo, soprattutto da parte di Germania e Italia, di fermare il regolamento che impone il divieto alla vendita di veicoli nuovi a benzina e diesel dal 2035, con Berlino che è riuscita a strappare un accordo e far passare il via libera per i veicoli e-fuel, carburanti sintetici prodotti dall’anidride carbonica presente nell’atmosfera. Sono solo alcune delle difficoltà incontrate dalle misure introdotte (o che dovrebbero essere introdotte) nell’ambito del Green Deal, il piano che dovrebbe consentire all’Europa di raggiungere la neutralità climatica nel 2050.

Le battaglie politiche che massacrano il Green Deal di Ursula Von Der Leyen – Di fatto, secondo il primo rapporto dell’Osservatorio europeo sulla neutralità climatica, valutando settori chiave come industria e mobilità, le misure fin qui adottate non sono sufficienti per raggiungere i target climatici. Dal 2019 il piano è stato messo a dura prova più e più volte, dalle pressioni delle lobby, pandemia, guerra in Ucraina, crisi economia. Ed anche la politica ha giocato un ruolo importante con il Partito popolare europeo della Von Der Leyen sempre più spaccato sulle misure traino per la transizione ecologica. Basti pensare che, agli inizi di giugno, una convergenza tra i gruppi di Ppe, i liberali di Renew Europe, Id e Ecr (Conservatori e Riformisti, di cui fa parte anche Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni) alla conferenza dei capigruppo dell’Eurocamera ha affossato la richiesta dei Verdi di aggiungere all’agenda della plenaria della settimana successiva, a Strasburgo, un dibattito su “Realizzazione del Green Deal, rischio di deragliamento del percorso Ue verso la transizione verde”. La richiesta dei Verdi ha praticamente spaccato l’attuale coalizione allargata tra Socialisti, Liberali e Popolari, la cosiddetta coalizione Ursula, trovando solo il supporto dei socialisti Ue e delle sinistre. Una coalizione che da tempo risulta sempre meno unita. Simbolo ne è la battaglia interna al Ppe e quella tra Manfred Weber, europarlamentare tedesco alla guida del Partito Popolare Europeo, e Ursula Von Der Leyen, presidente della Commissione Europea, entrambi tedeschi. Dopo mesi di attriti e ostacoli posti da Weber al Green Deal della connazionale, in queste ore Weber ha indicato Von Der Leyen come candidato presidente per la prossima campagna elettorale delle europee. Ma sul Green Deal le posizioni restano lontane.

E l’Italia resta indietro – E troppo spesso Roma si è trovata negli ultimi mesi a opporre resistenza al piano su cui si basa la transizione ecologica europea. Per esempio sul regolamento sul Ripristino degli Ecosistemi, che mira a mettere in atto misure di recupero per almeno il 20% delle terre emerse, il 20% delle aree marine dell’Ue entro il 2030, per poi arrivare a tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino entro il 2050. La Commissione ambiente dell’Europarlamento non ha raggiunto una maggioranza per proporre un testo (e quindi presenterà al Parlamento la proposta di respingere la norma presentata dalla Commissione europea) perché Popolari si sono alleati con la destra di Ecr e giorni fa il Consiglio Ambiente dell’Ue era riuscito ad adottare a maggioranza qualificata la sua posizione sul provvedimento, ma senza il sostegno di Italia, Polonia, Belgio, Paesi Bassi, Austria e Svezia. Quando si è trattato di discutere, invece, dello stop alla vendita delle auto inquinanti, Roma ha cercato di inserire una deroga per i biocarburanti, facendo da spalla a Berlino che si opponeva alle nuove regole. Per non parlare dell’opposizione delle regioni della Pianura Padana, in prima fila il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, alla revisione prevista da Bruxelles della direttiva sulla qualità dell’aria, che concede otto anni di tempo agli Stati membri, per adeguarsi ai nuovi limiti, in vigore da gennaio 2030. Sono previste soglie più rigorose per gli inquinanti (il valore limite annuale dell’inquinante più nocivo, il particolato sottile PM2,5, deve essere abbassato dagli attuali 25 a 10 microgrammi per metro cubo) e per il monitoraggio della qualità dell’aria, oltre a un diritto rafforzato all’aria pulita, con la possibilità per i cittadini di chiedere un risarcimento per i danni alla salute dovuti all’inquinamento atmosferico.

La partita dell’agricoltura E poi c’è il settore agricolo, con diversi fronti ‘caldi’, tra cui quello sui pesticidi e quello sulla revisione della direttiva sulle emissioni industriali, che stabilisce quali siano i criteri perché un impianto, allevamenti compresi, debba essere ritenuto altamente inquinante e, quindi, rispettare obblighi e vincoli più stringenti. A marzo 2023, il Consiglio dei ministri dell’Ambiente ha approvato, nonostante il voto contrario dell’Italia, la proposta della Commissione, ma con alcune modifiche rispetto al testo originario. Pur lasciando l’inclusione dei bovini proposta da Bruxelles, i ministri hanno alzato la soglia di unità di bestiame adulto precedentemente stabilita: non più 150, ma 350 unità di bestiame adulto. Lo scorso 25 aprile la Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo aveva deciso, con un voto non certo inatteso, di escludere gli allevamenti di bovini dalla revisione della direttiva, mentre a maggio la Commissione Ambiente si è espressa a favore dell’estensione della direttiva sulle emissioni agli allevamenti di bovini. La plenaria è attesa a luglio. Altra storia quella sui pesticidi che la Commissione Ue ha proposto di dimezzare entro il 2030. Anche in questo caso è scontro in Parlamento: la Commissione Ambiente vorrebbe arrivare a una riduzione dell’80%, mentre la Commissione Agricoltura vuole abbassare l’ambizione. Su questo fronte, inoltre, continua a far discutere l’accordo proposto tra l’Ue e il Mercosur perché si teme che l’abbassamento delle tariffe e dei controlli farà allontanare gli obiettivi del Green Deal europeo.

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