di Dante Nicola Faraoni

Secondo l’ultimo studio del Fondo Monetario Internazionale, l’inflazione in Europa è causata per il 45% dall’aumento complessivo dei profitti delle imprese mentre l’aumento dei salari solo per il 25%. L’inflazione dipende in larga parte dall’aumento dei profitti delle aziende dato confermato anche dalla Bce. Leggendo i dati Istat viene però fuori un’altra verità.

L’inflazione misura il nostro potere d’acquisto e viene calcolata facendo la media ponderata delle merci e servizi in Euro oppure in altre valute. Essa è territoriale e varia per città, provincia, Stato. In Italia l’inflazione nel 2022 era al 12,8% (+5,4% nel 2021), in Germania all’11,5%, in Francia al 5,9% tutti in zona Ue ma con differenze importanti, perché? Inoltre c’è da chiedersi: se l’inflazione è una media, chi è tra le merci e i comparti industriali che generano i picchi più alti di aumento dei prezzi?

Secondo i dati Istat a dicembre 2022, i prezzi alla produzione dell’industria si confermano in aumento su base annua, +42,7%, spinti in particolare sul mercato interno dai rialzi dei prezzi di fornitura di energia elettrica e gas; +104,3%; era +33,6% nel 2021 prima dello scoppio della guerra in Ucraina. I picchi degli energetici, quindi, non sono stati generati solo dall’inizio della guerra ma certamente dalla speculazione visto i profitti e gli extra profitti stratosferici fatti dalle aziende del settore.

La verità è che nell’economia feticcia del “libero mercato”, la produzione ed il commercio è volta esclusivamente al massimo profitto e non ci sono limiti né morali né legislativi. Se i privati controllano i mercati energetici e delle materie prime e ne alzano i prezzi, a cascata ne soffriranno produzione industriale e commercio, i quali aumenteranno a loro volta i prezzi. Chi invece soffrirà in toto l’aumento dell’inflazione sono i consumatori e, se non c’è un aggiustamento dei salari, ricadrà soprattutto sui lavoratori dipendenti. È ciò che sta accadendo ora.

Sono un analista Prout (Progressive Utilitation Theory); secondo noi, per contenere l’inflazione, è necessario indirizzare il Sistema verso una ridistribuzione della ricchezza. Ciò avverrà solamente se progressivamente si ridurranno i profitti dei super ricchi compensando il potere d’acquisto dell’intera popolazione. Lo Stato non dovrebbe permettere a singoli o gruppi privati di controllare la produzione energetica e le materie prime.

A questo proposito è necessaria la nazionalizzazione progressiva di questi settori. La storia ci insegna che se aumentano i prezzi in questi settori chiave, ad effetto domino l’inflazione si riverserà sulle aziende e sul potere d’acquisto dei consumatori! Ciò ci chiarisce le differenze percentuali di inflazione tra Italia, Germania e Francia. In patria, lo Stato francese è direttamente il maggior produttore di energia e ne controlla il commercio, ciò gli permette di moderare i prezzi e contenere l’inflazione. In Italia, dove i privati controllano indisturbati energia e materie prime, l’inflazione è più del doppio! Inoltre noi abbiamo una situazione scandalosa per non dire vergognosa: le nostre grandi aziende del settore, Eni e Enel sono partecipate dallo Stato ma i governi Draghi e Meloni, nonostante ne abbiano il potere, non hanno preso nessuna iniziativa per contenere l’inflazione se non appesantire il debito pubblico.

Nell’economia Prout, per controllare l’inflazione, oltre che la gestione statale senza perdite né profitti dei settori sopra indicati, ritiene necessaria la socializzazione della produzione ed il commercio trasformando la maggior parte delle aziende a Gestione Condivisa (Coordinated Cooperation). Sembra che Bce e Fmi suggeriscano di ridistribuire una parte di questi profitti sui salari per compensare l’inflazione ma se non ci sarà il buon senso delle parti sociali a voler ridiscutere su come uscire dalla crisi sarà scontro! Iniziare dei processi di democrazia economica è indispensabile per gli equilibri italiani ed europei. Una strada obbligata.

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