Due anni e mezzo senza stipendio, affidandosi tutti i giorni a parenti e amici per riuscire a mettere insieme il pranzo con la cena. È la condizione in cui si trovano i quattro lavoratori di Calpark, la società a controllo pubblico nata a Rende, a pochi chilometri da Cosenza, nel 1992, da un programma interministeriale volto allo sviluppo di Parchi Scientifici e Tecnologici nelle aree del sud Italia. Per 25 anni, il Parco calabrese è stato uno strumento importante per la politica industriale e lo sviluppo economico della Regione. Ha messo in contatto il mondo dell’università e della ricerca con quello delle piccole imprese industriali, commerciali e artigiane che operano sul territorio. Fino a quando, sei anni fa, le stesse istituzioni pubbliche che lo gestivano hanno deciso di disimpegnarsi, di disinteressarsi del suo futuro. Lasciando i dipendenti senza stipendio e senza prospettive.

I lavoratori rimasti sono esausti. Erano nove all’inizio della crisi. “Siamo in precario equilibrio psicologico”, racconta uno di loro a ilfattoquotidiano.it. Preferisce rimanere anonimo, ha paura che le sue dichiarazioni possano causargli problemi di mobbing in futuro. “Da due anni faccio affidamento sulla pensione di mia suocera invalida per mangiare ogni giorno”, prosegue. Dopo 25 anni di attività lavorativa nel Parco, si aspettava di avvicinarsi tranquillamente alla pensione. Invece non riesce a far fronte né alle necessità quotidiane, né a quelle straordinarie, per esempio di salute. “Siamo allo sbando. Abbiamo consumato tutto quello che avevamo da parte”, conclude.

Insieme ai sindacati, hanno avviato un’azione legale. Ci sono stati degli incontri all’ispettorato del lavoro e i decreti ingiuntivi sono stati inviati. Il primo obiettivo è recuperare gli stipendi arretrati. Il secondo è costringere la proprietà ad assumersi le sue responsabilità. “La cosa più assurda di questa vicenda è che Calpark è stata abbandonata dagli stessi soggetti pubblici che l’hanno creata”, commenta a ilfattoquotidiano.it Umberto Calabrone, segretario regionale di Fiom Cgil. Il capitale sociale del Parco, infatti, è detenuto per più dell’83% dalle tre università calabresi – Unical, Unicz e Unirc – dal CNR e dalla finanziaria regionale Fincalabra. Le stesse istituzioni, sottolinea il segretario, che adesso non danno alcuna risposta alle richieste di confronto.

I sindacati credono che sia possibile mettere in campo un progetto per rilanciare Calpark: “Un ente come questo – continua Calabrone -, che è stato un punto di riferimento nel sostegno alle imprese locali, aggiudicandosi bandi regionali, nazionali ed europei, potrebbe essere molto utile per intercettare e mettere a terra i fondi del Pnrr. Cosa che in questo momento la Regione fa fatica a fare”. Ma dall’Università della Calabria, che dal 2004 occupa con continuità il ruolo di vertice nel consiglio di amministrazione di Calpark, non è arrivata alcuna risposta alle richieste di confronto. “Se l’obiettivo è prendere i lavoratori per sfinimento e aspettare che se ne vadano di loro spontanea volontà – spiega Calabrone – si sbagliano. O si chiude la società, con il conseguente ricollocamento dei dipendenti da parte di Regione e università, o si riparte dalle professionalità che hanno reso questo Parco uno strumento fondamentale per il nostro territorio. Abbandonare il progetto sarebbe un fallimento politico”, conclude.

Lavoratori e sindacati chiedono che venga presa una decisione definitiva al più presto, soprattutto da Unical. Per i dipendenti, infatti, la responsabilità della crisi è soprattutto dell’ateneo cosentino, in quanto principale gestore del Parco negli ultimi anni: insieme agli altri soci pubblici, ha deciso di bloccarne le attività. Di non selezionare nuovi bandi pubblici a cui partecipare, nuove gare, abbandonando silenziosamente la società. Ora Calpark, senza commesse e senza finanziamenti, non è altro che una scatola vuota. L’unica cosa a crescere è la voce “spese”. Rappresentata dagli stipendi dei lavoratori che continuano a maturare, senza mai essere pagati.

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