Venticinque pulsar per ottenere un gigantesco rivelatore cosmico che si estende attraverso la Via Lattea: il respiro del cosmo. Le stelle più dense e in rotazione velocissima su sé stesse sono le protagoniste assolute della scoperta delle onde gravitazionali a bassissima frequenza e ultra-lunghe. Un balzo per l’astrofisica che promette di aprire una nuova finestra sull’universo e di fare luce sui fenomeni cosmici più misteriosi. I risultati, condotti da cinque organizzazioni di ricerca di Europa (Epta), India e Giappone (InPta), Nord America (NanoGrav), Australia (Ppta) e Cina (Cpta), alla quale l’Italia ha contribuito con Istituto Nazionale di Astrofisica, Sardinia Radio Telescope e Università di Milano Bicoccaè stata pubblicata in una serie di articoli sulla rivista Astronomy and Astrophysics. Gli scienziati hanno utilizzato i radiotelescopi per osservare le 25 pulsar, veri e propri orologi naturali ad alta precisione, trasformando queste stelle in un rivelatore cosmico di onde gravitazionali.
Dalla sequenza di queste misure si ottengono le impercettibili dilatazioni e compressioni dello spazio-tempo provocate dal passaggio delle onde gravitazionali provenienti dall’Universo lontano: un ritmo che appunto ricorda quello del respiro. Le 25 pulsar, distanti migliaia di anni luce, hanno permesso in questo modo di confermare l’esistenza, sospettata da tempo, del nuovo tipo di onde gravitazionali dal ritmo lentissimo e con lunghezze d’onda enormemente più lunghe di quelle osservate dai tempi della scoperta di questi messaggeri cosmici, avvenuta nel 2015 e annunciata nel febbraio 2016.
Tuttavia la ricerca non si chiude qui perché, per confermare in modo definitivo la scoperta, il risultato deve avere una probabilità di verificarsi in modo casuale inferiore a una volta su un milione di casi. Il risultato appena ottenuto si avvicina a questo criterio, ma ancora non lo soddisfa pienamente e secondo i ricercatori c’è ancora circa una probabilità su mille che all’origine del segnale possano esserci fonti di rumore casuali. Dopo le analisi condotte in modo indipendente, quindi, i ricercatori di tutte le collaborazioni internazionali stanno ora combinando i loro dati all’interno del coordinamento dell’International Pulsar Timing Array. L’obiettivo è sfruttare le misure fatte su un campione di oltre 100 pulsar, osservate con 13 radiotelescopi in tutto il mondo. L’attesa della comunità scientifica è che i nuovi dati forniscano la prova definitiva della scoperta. “Stiamo aprendo una nuova finestra nell’universo delle onde gravitazionali ultra lunghe, corrispondenti a frequenze di oscillazione del miliardesimo di Hertz, che sono associate a sorgenti e fenomeni unici”, dice la ricercatrice Caterina Tiburzi, della sede di Cagliari dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. Le nuove onde gravitazionali “ci permettono di studiare alcuni dei misteri finora irrisolti nell’evoluzione dell’universo”, osserva Marta Burgay, della sede dell’Inaf, riferendosi ai “sistemi binari formati da due buchi neri supermassici”, con masse miliardi di volte maggiori di quella del Sole e che si trovano al centro di galassie che si stanno fondendosi tra loro.
“È una grande soddisfazione per tutta l’astrofisica italiana che il Sardinia Radio Telescope, il grande radiotelescopio gestito dall’Inaf, sia fra i testimoni dell’emergere nei dati di questo lento respiro dello spazio-tempo”, osservano Andrea Possenti, primo ricercatore dell’Inaf di Cagliari e tra i fondatori dell’European Pulsar Timing Array (Epta), e l’ex presidente dell’Inaf Nichi D’Amico.”Si tratta – aggiungono – di un nuovo grande risultato scientifico, che conferma, a livello mondiale, il ruolo centrale dell’Italia, e vieppiù della Sardegna, con SRT e speriamo presto anche con l’Einstein Telescope, nello studio delle onde gravitazionali per molti decenni a venire”. Per Alberto Sesana, dell’Università di Milano Bicocca, i nuovi dati hanno “permesso di ampliare la finestra di frequenza in cui possiamo osservare queste onde, permettendo una migliore comprensione della fisica delle galassie che si fondono e dei buchi neri supermassicci che esse ospitano”. Diventa infatti possibile “sondare onde gravitazionali che oscillano in maniera incredibilmente lenta, consentendo di esplorare sistemi binari di buchi neri con periodi orbitali di decine di anni.”, così come “studiare onde che compiono molte oscillazioni al mese, dando accesso a sistemi di buchi neri con periodi orbitali molto più brevi, dell’ordine di pochi giorni”.