I fatti aberranti di questi ultimissimi tempi, che hanno visto come protagonisti alcuni giovani, raccontano il fallimento pedagogico di un intero paese meglio di cento trattati ponderosi sull’argomento.
Mi riferisco ovviamente all’episodio dei giovani youtuber romani, che, allo scopo di costruire la propria fortuna nel mondo virtuale tramite performance estreme, hanno provocato la disgrazia di uccidere un bambino di cinque anni in quello reale. Ma anche alla notizia secondo cui due dei ragazzi che avevano sparato pallini di gomma contro una docente in un istituto scolastico di Rovigo sono stati promossi con il 9 in condotta (è dovuto intervenire il ministro Valditara per chiedere di rivedere tale decisione).
Sarebbe fin troppo facile – e comodo – concentrarsi solo sugli episodi in sé, magari pronunciando una tanto scontata quanto inutile condanna dei singoli protagonisti. Se vogliamo imparare qualcosa e magari provare a invertire un trend che appare sempre più nettamente avviato, dobbiamo analizzare il contesto socio-culturale che circonda quei ragazzi. Non certo per giustificarli, ma per inquadrarli come il prodotto più riuscito di un fallimento culturale ed educativo che coinvolge tutta la società.
Volendo approfondire e sintetizzare al tempo stesso, nel caso degli youtuber romani possiamo vedere tutta l’assurdità di un’epoca in cui ci si preoccupa del proprio successo di facciata (con tanto di fotografie puntualmente ritoccate) nella vita virtuale, in misura direttamente proporzionale a quanto si smette di aver cura della propria crescita interiore e personale nella vita reale. Come ottusi automi che funzionano e non pensano, siamo sempre più incollati con gli occhi e la mente ai favolosi e plastificati schermi degli smartphone, tanto più se è in quella dimensione che si può aspirare a fare soldi anche a discapito di quanto succede nel mondo reale.
Nel caso della scuola di Rovigo, invece, ci troviamo di fronte a un mondo degli adulti che non sa più educare né fornire l’esempio ai più giovani – perché è nel mondo degli adulti per primo che si sono affermati il privilegio, la raccomandazione e l’incapacità di valorizzare il merito – risultando coerentemente incapace anche di sanzionare e punire i comportamenti di coloro che abbiamo diseducato o male-educato noi per primi.
Ha un bel da fare l’attuale governo di destra a cavalcare la retorica del “merito”; infatti, quando all’atto pratico conferisce incarichi di primaria importanza a figure discutibili o addirittura incompetenti, o quando pensa di riscrivere la narrazione culturale del paese semplicemente sostituendo con “pedine” di fede destroide quelle di fede sinistroide. Ma ha anche la sua bella responsabilità una certa cultura di sinistra decisamente imperante, specie nel mondo della Scuola. Mi riferisco all’ampia schiera di intellettuali e pedagogisti che ormai da tempo proclamano il principio della “comprensione assoluta”. Quello per cui i ragazzi vanno compresi, protetti e liberati da ogni forma di possibile stress anche attraverso – per esempio – l’abolizione del voto scolastico. Come se la Scuola non dovesse formare alla vita e questa non fosse (anche) un agone in cui molto spesso non si viene compresi né protetti, ma semmai giudicati e misurati in base a capacità oggettive (anche di rispettare leggi e regole).
Se il principio dei “quattro calci in c*lo” non può essere preso a modello educativo, specie nel 2023, la comprensione assoluta e la difesa a oltranza di tutte le fragilità, con tanto di incapacità a svolgere il ruolo a volte traumatico dell’adulto che dice no, pone freni e nel caso stabilisce sanzioni, ci prepara a un disastro annunciato.
Se il fallimento culturale della destra è consistito nel non saper costruire una propria cultura al di fuori dell’eredità fascista, il fallimento culturale della sinistra sta tutto nel non aver saputo costruire un nuovo progetto socio-culturale dopo la fine del comunismo e del socialismo. Il guaio è stato tentare di mascherare questo fallimento con il radicalizzare in maniera controproducente le lotte per i diritti civili, secondo il principio sciagurato per cui ogni “desiderio” deve diventare “diritto” (come chi vorrebbe comunque la promozione senza essersela guadagnata imparando tanto i contenuti culturali quanto il rispetto delle regole).
Due fallimenti non fanno mezzo successo, ma semmai aprono le porte a un terzo fallimento che rischia di essere disastroso per il futuro di tutti noi. Il fallimento di aver male educato uomini e donne che governeranno il nostro domani.