Il procuratore generale Canale: "Sistema perverso che si autoalimenta: più i contribuenti sono consapevoli di una sostanziale impunità fiscale, tramite cancellazioni o condoni, più si allarga la platea degli evasori parziali o totali"
Una rateizzazione dopo l’altra, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione è stata trasformata nell’equivalente di una finanziaria che concede prestiti a “una massa di debitori a elevato rischio di inesigibilità“. Senza garanzie e nonostante i numeri dicano che l’esito delle definizioni agevolate tende ad essere fallimentare: quando va bene l’erario incassa metà del previsto. Intanto le cifre effettivamente riscosse, rispetto ai carichi affidati da Agenzia delle Entrate, enti locali e previdenziali, casse e ordini, restano inchiodate a una percentuale poco sopra il 13%: 170 miliardi su oltre 1.200, tra il 2000 e il 2022. Un quadro di “grave difficoltà“, ribadisce la Corte dei Conti nel primo volume della Relazione sul rendiconto generale dello Stato presentata mercoledì dal presidente Guido Carlino, che ha chiesto ancora una volta di “abbandonare definitivamente il ricorso a provvedimenti che, oltre ad incidere negativamente in termini equitativi e sul contributo di ciascuno al finanziamento dei servizi pubblici, rischiano di comportare ulteriori iniquità”. Mentre il procuratore generale Angelo Canale, nella sua memoria, sottolinea che “la politica dei condoni mina alla radice la credibilità del sistema, sottraendo alle imposte il loro significato di strumento democratico di finanziamento della cosa pubblica: premiando proporzionalmente di più chi maggiormente si rende attore di condotte evasive, vengono indotti anche i contribuenti onesti ad adeguarsi a tale illegittimo modus operandi”.
“Un improprio ruolo di ente di concessione di credito” – Scorrendo le centinaia di pagine e tabelle della relazione salta all’occhio il dato cumulato sulle rateazioni concesse fino al gennaio 2023 (prima ancora della rottamazione quater prevista nella manovra del governo Meloni): 4,7 milioni di istanze per un valore di 45,4 miliardi, 13,6 in più rispetto alla cifra che si registrava a inizio 2022. Tranchant il giudizio dei magistrati contabili, secondo cui l’agente della riscossione che ha preso il posto di Equitalia è stato caricato di “un improprio ruolo di ente di concessione di credito“. Si dirà che chi non è in grado di versare il dovuto deve essere messo in grado di farlo: conviene a tutti. Giusto, ma i numeri mostrano che la situazione è ben diversa. Innanzitutto non si parla di piccoli debiti, cartelle per multe arretrate (peraltro soggette a ormai periodici annullamenti) e simili: più del 47% degli importi rateizzati supera i 100mila euro, solo l’8% è sotto i 5mila. Poi, l’accesso a sanatorie e rateazioni non è subordinato a valutazioni sulla effettiva condizione di difficoltà del contribuente: “La possibilità di adempimento differito viene offerta a tutti, indipendentemente dalla loro capacità contributiva”, come nota Canale nella memoria. Infine, se è vero che “una quota rilevante del volume annuo di riscossione deriva dai piani di pagamento rateali”, il bilancio finale è però sempre in perdita per lo Stato. E non solo perché spesso le rateizzazioni prevedono l’annullamento di sanzioni e interessi di mora. Il punto è che molti pagano qualche rata e poi smettono.
Il flop delle rottamazioni – Così la prima rottamazione, varata nel 2016 dal governo Renzi, ha raccolto da 1,4 milioni di persone con debiti per 31,2 miliardi solo 8,3 miliardi contro i 17,7 attesi. La bis del 2017 del governo Gentiloni, che ha consentito di chiudere i conti sulle cartelle non ammesse alla precedente tornata e sui nuovi debiti accumulati nel frattempo, ha portato in cassa solo 2,8 miliardi sugli 8,5 previsti (a fronte di debiti lordi per 14,1 miliardi). La Rottamazione ter del Conte 1, che si sperava avrebbe avuto più appeal grazie al maggior numero di rate e alla possibilità di spalmarle su 5 anni, ha visto rispondere 1,4 milioni per un valore lordo di ben 43,5 miliardi e un introito atteso di 26,3 che si è sgonfiato a soli 8,6 davvero riscossi. Un po’ meglio è andato il saldo e stralcio del 2019, molto vantaggioso e riservato a chi avesse Isee sotto i 20mila euro: ha recuperato 689 milioni su 1,2 miliardi previsti.
In mezzo c’era stato lo stralcio automatico delle cartelle sotto i 1000 euro per un valore nominale di 32 miliardi, che sarebbe stato seguito dal condono di Draghi che ha annullato cartelle fino a 5mila euro (comprese posizioni per cui erano in corso rateazioni) per un importo di circa 20 miliardi e da quello di Meloni per i carichi fino a 1000 euro affidati dal 2000 al 2015, che costerà almeno 600 milioni al netto delle multe su cui decidono i sindaci. Interventi che peraltro hanno scalfito solo di pochissimo l’enorme “magazzino” dei crediti non riscossi, che ha superato i 1.100 miliardi di cui solo una piccola parte è ritenuta recuperabile. Un track record che non ha impedito alla Lega, proprio mercoledì, di annunciare o auspicare in una nota un’ennesima “pace fiscale giusta e definitiva“.
Il circolo vizioso – “I contribuenti che adempiono tempestivamente e spesso con grandi sacrifici non soltanto non sono premiati, ma si vengono a trovare in posizione deteriore rispetto ai soggetti inadempienti, che possono comodamente pagare a distanza di molti anni dalla scadenza del termine e senza alcuna conseguenza”, commenta Canale nella sua memoria, parlando di un “sistema perverso che si autoalimenta: più i contribuenti sono consapevoli di una sostanziale impunità fiscale, tramite cancellazioni o condoni, più si allarga la platea degli evasori parziali o totali, o comunque di coloro che, a seguito delle possibilità offerte dallo stesso legislatore, adempiono in ritardo e senza corrispondere né interessi, né sanzioni”. Un circolo vizioso che rischia di allontanare i risultati previsti dal Recovery plan in termini di riduzione della distanza tra le imposte pagate e quelle effettivamente dovute.
La riforma a metà – Le difficoltà della riscossione sono ovviamente note da anni. Il governo Draghi aveva promesso una riforma che poi non è arrivata. L’esecutivo ora in carica ne ha prevista una nella delega fiscale all’esame del Parlamento. I decreti attuativi dovranno tra il resto disporre il discarico automatico al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello dell’affidamento delle quote non riscosse, anche se con possibilità per l’ente creditore di riaffidarle se emergono “nuovi e significativi elementi reddituali o patrimoniali”. Una soluzione che in passato la Corte aveva definito “una eventualità da scongiurare, che altererebbe radicalmente il sistema di gestione dei tributi fondato sull’adempimento spontaneo e nel quale la riscossione coattiva delle somme ancora dovute costituisce complemento imprescindibile“. Nella nuova relazione i magistrati sottolineano che sono “limitate” le misure mirate a rimuovere gli ostacoli giuridici previsti nelle procedure coattive che sono uno dei punti deboli del sistema. Come il divieto di pignorare la prima casa e di vendere coattivamente gli immobili di valore inferiore a 120mila euro.
Le attività di accertamento e controllo arrancano – Intanto, in attesa che vadano finalmente a regime le analisi massive del rischio basate sui dati dell’anagrafe tributaria, la lotta all’evasione – che sta a monte della riscossione – arranca. L’Agenzia delle Entrate quest’anno recluterà 3.500 funzionari ma nel frattempo fatica a riprendersi dal sostanziale blocco del turnover che ha finito per lasciare scoperti a fine 2022 oltre 16mila posti. Nel 2022, annota la Corte, è riuscita a realizzare poco più di 189mila accertamenti ordinari: ben sotto i livelli del 2018 e 2019. Accessi brevi, controlli mirati e verifiche sul posto sono stati solo 9.580 a fronte degli oltre 28mila del 2019. E nemmeno gli accertamenti parziali automatizzati hanno raggiunto i livelli pre pandemia, fermandosi a meno di 178mila. Anche la maggiore imposta accertata non ha ancora raggiunto i livelli del 2019: è stata di 16,3 miliardi complessivi contro 17,9. Fanno eccezione i controlli sostanziali sulle dieci categorie di attività in cui ricadono più contribuenti: quelli sono aumentati. Ma la probabilità di subirne uno resta minuscola: supera il 5% solo per le costruzioni e gli intermediari del commercio. Si ferma al 2,9% per i ristoranti, al 3,1% per bar e gelaterie, al 2,5% per gli studi medici. Così l’effetto deterrenza diventa una barzelletta.