Una sentenza che ribalta il verdetto dell’Alta corte britannica e assesta un duro colpo all’esecutivo di Rishi Sunak e al disegno di legge noto come Illegal Migration Bill introdotto per fermare gli sbarchi sulle coste inglesi. La Corte d’appello di Londra ha dichiarato illegale il contestatissimo piano per deportare i migranti in Ruanda voluto dal governo britannico, all’interno della sua draconiana stretta sull’immigrazione irregolare, per il trasferimento di quote di richiedenti asilo in Africa a scopo dissuasivo, ribaltando il precedente verdetto dell’Alta corte.

Il verdetto – Arriva all’esito di un’udienza di quattro giorni svoltasi ad aprile e riguardante il ricorso contro una decisione dell’alta corte dello scorso aprile secondo cui era legittimo trasferire in Ruanda alcuni richiedenti asilo per esaminare le loro richieste direttamente nel Paese africano piuttosto che nel Regno Unito. Il disegno di legge sull’immigrazione illegale, tecnicamente in fase di approvazione in parlamento, afferma che tutti i richiedenti asilo che arrivano con “mezzi irregolari” potrebbero rischiare di essere spostati con la forza in Ruanda. Contro la sentenza di dicembre, tra gli altri, si era schierato anche l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), secondo cui il Ruanda ha precedenti di violazioni di diritti umani dei rifugiati che si trovavano nel suo territorio.

La linea dura del governo – Ampiamente dibattuto e contestato da opinione pubblica e associazioni, il piano era sempre stato difeso da Downing Street, e a inizio aprile la ministra degli Interni britannica e fautrice della linea dura verso i migranti, Suella Braverman, aveva ribadito che il Ruanda fosse un paese sicuro durante una trasmissione Bbc: in quel caso le erano state ricordate le prove presentate da Unhcr secondo cui, proprio in Ruanda, 12 rifugiati congolesi erano stati uccisi dalla polizia nel 2018. “L’Alta Corte, giudici esperti, ha esaminato i dettagli del nostro accordo con il Ruanda e ha ritenuto che sia un Paese sicuro e che i nostri accordi siano legittimi“, aveva sottolineato la ministra. Il Ruanda ha “un curriculum di successo nel reinsediamento e nell’integrazione di persone rifugiate o richiedenti asilo“, aveva poi aggiunto.

Le polemiche sui costi – Negli ultimi giorni era inoltre montata una nuova polemica sul controverso piano di deportazione, in questo caso sui costi che proprio l’esecutivo dovrebbe sostenere per portare avanti questa iniziativa: si parla di 169 mila sterline (196 mila euro) per il trasferimento di un singolo immigrato dal Regno Unito al Ruanda, come ha rivelato lo stesso ministero dell’Interno. Proprio su questi dati si è innescato un botta e risposta all’interno del partito di maggioranza tra la deputata conservatrice Caroline Nokes, presidente della Commissione per le Pari opportunità della Camera dei Comuni, secondo cui i costi del piano superano i benefici, e Braverman. Quest’ultima ha difeso il trasferimento in Ruanda, contenuto all’interno del disegno di legge noto come Illegal Migration Bill, e ha esortato i parlamentari ad approvarlo in quanto rappresenta l’unica soluzione valida per fermare gli sbarchi sulle coste inglesi, dopo i numeri record dell’anno scorso, e contrastare l’azione dei trafficanti di persone “riportando in equilibrio il nostro sistema di asilo”. La polemica arriva in una settimana molto importante per l’approvazione del provvedimento di punta del governo conservatore guidato da Rishi Sunak che vede già molti critici fra i membri della Camera dei Lord chiamati ad esprimersi in merito.

L’Europa – La stretta proposta dal governo britannico – che prevedeva ove possibile lo spostamento dei “clandestini” in Paesi terzi come il Ruanda o il loro rimpatrio, non senza precludere loro la possibilità della richiesta d’asilo nel Regno o la richiesta di altri diritti umani di base – era finita ad aprile nel mirino della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, che ha deciso di esaminare il ricorso presentato da un richiedente asilo iracheno contro Londra per evitare di essere deportato in Ruanda. Nel ricorso l’uomo affermava che se dovesse essere trasferito in Ruanda, non potrebbe fare una richiesta d’asilo. Inoltre sottoponeva il rischio di una detenzione in condizioni non in linea con gli standard internazionali. La sua deportazione violerebbe quindi l’articolo 3 della convenzione europea dei diritti umani che sancisce che nessuno può essere sottoposto a maltrattamenti e torture. Ora toccherà a Londra spiegare alla Cedu – la cui decisone deve ancora arrivare – perché l’uomo non rischierebbe di vedere i suoi diritti violati se deportato.

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