Le violenze nella Cisgiordania occupata non si placano. Ma mentre a Jenin l’esercito israeliano ha attaccato via cielo il campo profughi e nel sud avanzano i piani di evacuazione forzata della popolazione palestinese, nel mirino di Tel Aviv è finita anche una scuola costruita con i soldi della Cooperazione italiana. Domenica 18 maggio la scuola elementare del villaggio di Khirbet Um Qussa, nell’area di Masafer Yatta, ha infatti ricevuto un ordine di demolizione da parte dell’amministrazione civile israeliana: “Circa 60 bambini perderebbero il diritto di studiare. La scuola più vicina è a 8 chilometri di distanza” dice a Ilfattoquotidiano.it Ali Awad, attivista palestinese del movimento Youth of Sumud.
La scuola è stata finanziata nel 2020 dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics) e nasce originariamente come un agglomerato di tende. Oggi la struttura è composta da otto aule che ospitano circa 60 studenti – tra la prima e la quarta classe – provenienti da Um Qussa e dalle comunità vicine di Al-Makhroub e Al-Obaidiya. Già nel novembre del 2022, l’esercito ha raso al suolo la scuola di As-Sfai, finanziata dall’Ue, nella stessa area.
Le demolizioni menzionate non sono altro che la punta dell’iceberg di un progetto ben più ampio di annessioni. “L’esercito di occupazione ti rende la vita impossibile. È evidente che l’obiettivo del governo israeliano è quello di annettere la zona C allo Stato di Israele”, afferma Issa Amro, attivista palestinese e fondatore del movimento non violento Youth Against Settlement, Hebron (al-khalil).
Masafer Yatta è una zona collinare dove abitano 2.800 persone dislocate in 12 villaggi, situata nel sud di Hebron. Nei primi anni ’80 l’intera area stata dichiarata zona di addestramento militare “Firing Zone 918”. Tale destinazione d’uso è servita però a mascherare l’obbiettivo di espellere i palestinesi dalle loro terre per favorire l’espansione degli insediamenti israeliani. Dopo oltre 40 anni di resistenza non violenta, nel maggio del 2022, in seguito alla sentenza dell’Alta corte di giustizia israeliana, l’esercito ha ora l’autorità legale di demolire 8 dei 12 villaggi dell’area. Da allora si registrano crescenti violenze: il villaggio di Um-Al Khair ha ricevuto di recente un avviso di demolizione per 10 abitazioni. Oggi 1.300 persone sono a rischio imminente di espulsione dalle loro abitazioni. Alle famiglie palestinesi viene ripetutamente negato l’accesso alle strade, alle fonti d’acqua ed energetiche, alle scuole e ai servizi medici.
L’appello ai tribunali israeliani rappresenta l’ultima risorsa per fermare la demolizione della scuola. Le passate esperienze, però, dimostrano che questi appelli non sono che un disperato tentativo di rimandare quella che per molti sta diventando una inevitabile realtà. “Quando le nostre case ricevono un ordine di demolizione abbiamo due opzioni: o demolirle con le nostre stesse mani o pagare l’esercito israeliano per farlo” dice Sami Huraini, attivista palestinese dell’area di Masafer Yatta e leader del Comitato popolare nonviolento. Questo significa che senza un intervento della comunità internazionale non solo gli aiuti finanziari dell’Aics andranno sprecati a causa di una prassi illegale secondo il diritto internazionale, ma saranno le medesime comunità verso cui questi finanziamenti sono stati devoluti a dover pagare per la distruzione delle loro case e delle loro scuole. “La presenza protettiva degli attivisti internazionali e israeliani rappresenta spesso una questione di vita o di morte per la nostra comunità” spiega infatti Nasser Nawaj’ah, attivista palestinese per i diritti umani dell’organizzazione B’Tselem.
di Micol Meghnagi , Mosé Vernetti e Filippo Zingone
Foto: Luca Bonaventura