“Prima di poter dire qualcosa devo capire cosa c’è nell’inchiesta, in cui non sono indagato. Ma posso dire che sono dispiaciuto per Mario Di Ferro: è un caro amico che conosco e frequento da moltissimi anni. Andavo alla sue feste che erano sempre molto divertenti, frequentate da tantissima gente e dove non ho mai visto della droga“. Così risponde all’Ansa Gianfranco Miccichè, il senatore di Forza Italia ed ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana che dalle carte giudiziarie risulta essere uno dei migliori clienti di Mario Di Ferro, il gestore del ristorante “Villa Zito” di Palermo arrestato giovedì per spaccio di cocaina. Micciché sembra preoccupato soprattutto di smentire i passaggi dell’ordinanza del gip (corredati da foto) in cui lo si descrive andare a ritirare la sostanza a bordo di un’auto blu con lampeggiante acceso e autista: “Escludo in maniera categorica che io mi muova in macchina con lampeggiante acceso”. E sul consumo di droga minimizza: “Considero molto più importante nella mia vita di essere stato onesto, non avere mai fatto male a nessuno, non avere mai rubato un centesimo. Poi ognuno di noi qualche errore nella vita lo ha fatto. L’importante è essere a posto con la propria coscienza, e io lo sono”, dice.
Non è la prima volta, infatti, che Micciché finisce lambito da indagini su grossi giri di spaccio. Nel luglio 2002 la Procura di Roma ottiene l’arresto di 11 persone, tra cui un pr di trent’anni, Alessandro Martello: in un’informativa dei carabinieri agli atti si legge che il 10 aprile, “tra le 20:25 e le 20:50”, Martello era entrato al ministero dell’Economia di via XX settembre con venti grammi di cocaina destinati “verosimilmente a Gianfranco Micciché“, che in quel momento ricopriva il ruolo di viceministro nel secondo governo Berlusconi. Interrogato dai pm, Martello ammise di essersi recato due volte nell’appartamento romano del politico, ma non confermò di avergli ceduto la sostanza. Micciché si presentò spontaneamente ai magistrati e riferò che il trentenne ”era solo uno dei ragazzi che avevano collaborato alla campagna elettorale” e che lo ”aveva incontrato solo sporadicamente”. Alcuni esponenti dell’opposizione ne chiesero le dimissioni, ma lo scandalo fu definitivamente sepolto quando Martello patteggiò un anno di reclusione e la vicenda della coca al Mef non venne approfondita in dibattimento.