Le università e i college Usa non potranno più valorizzare l’appartenenza a minoranze etniche nel valutare le richieste di ammissione. Lo ha deciso la Corte suprema, il massimo organo giurisdizionale dello Stato, accogliendo i ricorsi di alcuni studenti esclusi da Harvard e dalla University of North Carolina. Il verdetto impedirà d’ora in poi le cosiddette “azioni affermative” (affirmative actions), cioè le “discriminazioni positive” applicate da alcuni college nelle procedure di ammissione allo scopo di garantire una maggiore inclusione delle minoranze di vario genere, per esempio riservando loro una quota di posti. I nove membri della Corte si sono spaccati secondo le loro preferenze ideologiche, con il presidente John G. Roberts Jr che ha redatto la sentenza firmata dai sei giudici conservatori, mentre i tre giudici progressisti si sono opposti.
Le affirmative actions sono osteggiate da una consistente parte dell’opinione pubblica statunitense (tanto da essere proibite in alcuni Stati) e la loro legittimità è stata messa già quattro volte in discussione davanti alla Corte suprema, che finora l’aveva sempre confermata. Nella decisione più importante, Grutter v. Bollinger del 2003, i giudici a maggioranza avevano ritenuto che “la varietà del corpo studentesco” fosse “un interesse primario dello Stato che può giustificare la considerazione della razza nelle procedure di ammissione”. La nuova decisione fa dietrofront rispetto ai precedenti: “Un gigantesco ostacolo nella marcia del nostro Paese verso la giustizia sociale”, l’ha definita il capogruppo democratico al Senato, Chuck Schumer. Nella stessa giornata la Corte suprema – in questo caso all’unanimità – ha invece rafforzato i diritti religiosi, accogliendo il ricorso di un ex postino cui era stata negata l’esenzione dal lavoro la domenica per poter praticare la sua fede di cristiano evangelico, ravvisando nella condotta del datore una violazione della legge federale anti discriminazione legata al Civil Rights Act del 1964, che proibisce discriminazioni su base religiosa, razziale, sessuale o di origine nazionale.
“Gli studenti devono essere valutati in base alle loro esperienze individuali, non in base all’etnia”, ha scritto il presidente Roberts nella nuova sentenza sulle affirmative actions. “Varie università per troppo tempo hanno fatto l’opposto, e così hanno ritenuto, sbagliando, che il nucleo dell’identità di un individuo non stia nelle sfide che ha vinto, nelle abilità sviluppate o nelle lezioni imparate, ma nel colore della sua pelle. La nostra storia costituzionale non tollera questa scelta“, si legge nel provvedimento. Secondo la maggioranza della Corte, i criteri di ammissione di Harvard e della University of North Carolina “mancano di obiettivi sufficientemente precisi e misurabili che garantiscano la considerazione dell’etnia”, e così “inevitabilmente fanno uso dei criteri etnici in modo negativo, includendo stereotipi razziali, e non hanno uno scopo significativo”. L’opinione di maggioranza è stata sottoscritta da tutti i giudici nominati dai presidenti repubblicani: Roberts, Clarence Thomas e Samuel Alito (scelti da George Bush jr), Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett (scelti da Donald Trump).
Nella dissenting opinion dei tre giudici rimasti in minoranza, la relatrice Sonia Sotomayor (nominata alla Corte suprema dall’ex presidente Barack Obama) afferma invece che “l’uguale opportunità di istruzione è un prerequisito per arrivare all’eguaglianza etnica” negli Usa, e che in questo senso la decisione “fa regredire decenni di precedenti e di progressi epocali”, stabilendo “che il criterio etnico non possa più essere usato entro certi limiti per raggiungere un obiettivo così importante”. Così facendo – aggiunge – “la Corte trasforma un concetto superficiale di eguaglianza sulla base del colore della pelle in un principio costituzionale, in una società che vive una segregazione endemica, in cui la razza ha sempre contato e continua a contare”. L’opinione di minoranza è stata sottoscritta anche dai giudici Elena Kagan (nominata da Obama) and Ketanji Brown Jackson (nominata dall’attuale presidente Joe Biden).