Sin dal primo sentore di guerra, con coerenza gesuitica, papa Francesco si è schierato a favore della Pace. Ormai da due anni, superando i confini della diplomazia, l’azione di papa Francesco ha avuto come contraccolpo di mettere in risalto la sudditanza del Patriarca della Russia, Kirill, da Vladimir Putin, schierandosi al suo fianco, a spada tratta fino a farlo apparire accanto all’altare, candela in mano, alla celebrazione della Pasqua del 2022. Kirill non rappresenta una Chiesa Ortodossa indipendente, ma una Chiesa nazionalista, succube del governo di Mosca, da cui dipende la sua stessa sopravvivenza. Al tempo della caduta del Muro di Berlino e conseguente crollo del Comunismo sovietico, Putin era ai vertici del Kgb, lo stesso che aveva da molto tempo annoverato il futuro patriarca Kirill tra le proprie spie più attive e ben pagate.

Ancora oggi, Kirill ha un patrimonio personale di circa quattro miliardi di dollari, garantito da Putin con quote di gas e petrolio, oltre a tutti i finanziamenti di restauri e costruzioni di chiese russe, il mantenimento ordinario del Patriarcato e delle sue attività. Considerato uno degli oligarchi putiniani, è stato sanzionato dall’Ue. La sorte di Putin e di Kirill è legata a doppia mandata: simul stabunt, simul cadent. Kirill con le sue posizioni “obbligate” si era screditato in tutto il mondo, suscitando anche scissioni e separazioni nel mondo ortodosso. Papa Francesco ha cercato a più riprese di coinvolgerlo nel suo tentativo di Pace, anche in nome di un “ecumenismo lento e faticoso”, ma con poco successo, tanto che il Papa ha deciso di andare avanti “in direzione ostinata e contraria”, in piena solitudine.

Oggi il gioco, pur nella sua complessa immobilità, è di nuovo in movimento con nuove priorità. La mediazione papale offerta con insistenza e sempre rifiutata all’improvviso prende avvio, con il gradimento di Mosca: incontri al vertice tra il cardinale Zuppi e rappresentanti di livello di Putin, spazi inusitati nelle tv governative moscovite, macchinone diplomatico con tanto di bandiera vaticana svettante in giro per Mosca, grande eco nel mondo, quasi che il Vaticano abbia trovato la quadra. Tutto intramezzato, come si conviene nella migliore tradizione diplomatica, da docce fredde, poi tiepide, poi caldissime fino a scottarsi. Sappiamo bene che la diplomazia non parla mai “papale papale”, ma sempre per allusioni, non detti, si parla a suocera perché nuora intenda, si afferma e si nega nello stesso tempo e tutti, conoscendone il codice, sanno come muoversi.

La missione di Zuppi, che non porterà a casa alcun risultato eclatante o tale da fare apparire il Vaticano come “risolutore” della guerra da cui Putin non sa come uscire, specialmente dopo l’affaire Prigozhin, è importante per riposizionare gli attori, come nel gioco dei quattro cantoni. Vediamo come. Non ho sfere di cristallo né infiltrati in Vaticano e al Cremlino, ho solo la mia testa e la mia logica.

Il 29 giugno mattina, mentre registravo il commento alla Parola di Dio di domenica 2 luglio da mettere in rete nel mio sito, dissi (sintetizzo): “La Zuppa bolognese che papa Francesco ha preparato con Zuppi potrebbe essere concordata con tutti i massimi protagonisti con scopi mirati: riportare Kirill dentro il grande gioco e toglierlo dall’isolamento in cui lui, cosciente e costretto, si è infilato. La grande accoglienza russa ‘esterna’ riservata all’inviato del papa ha avuto due effetti: pochi accenni in tv agli incontri ‘politici’, grande risalto all’incontro col Patriarca Kirill in un contesto solenne, quasi barocco e trasmesso quasi per intero. Se si giungerà ad un accordo, anche minimo, sarà un successo non solo del papa di Roma, ma anche del papa di Mosca e questo salverà la faccia sia a Putin che ‘non può non ascoltare il suo Patriarca’ del cui appoggio ha bisogno come l’aria, sia di Kirill che, uscendo dal suo isolamento etico, assume di nuovo la funzione di garante della ‘pax russica’.”

I risultati non saranno importanti, ma non per questo meno significativi: non si arriverà ad un cessate il fuoco – sarebbe troppo, madama la marchesa, per tutti; Putin è tutto tranne che scemo. Forse si giungerà a uno scambio a cui nessuno può dire di no: una quota, forse significativa di militari prigionieri; e forse, se l’idillio tra il papa romano e il patriarca russo regge, alla cessione da parte di Putin dei bambini ucraini rapiti in massa e deportati a Mosca “per essere rieducati”, come nella migliore tradizione comunista staliniana. Staremo a vedere. Se questo accadrà in questa forma o in maniere analoghe, si aprirebbe uno spiraglio a medio termine che lascia un margine alle diplomazie di parlarsi seriamente per ritirarsi da un pantano che sta dissanguando tutti e ha già disamorato le opinioni pubbliche dei vari Paesi che, più il tempo passa, più pensano ad altro.

In tutto questo non ho nominato Zelensky, che, a mio modesto modo di vedere, non ha partita, essendo solo alla mercé di chi lo arma e per il tempo in cui lo arma. Egli somiglia a quelle prostitute delle case chiuse ante legge Merlin (L. n.75/1958) che stanno in salotto in attesa di essere scelte, senza alcun potere di scelta. Zelensky, il comico divenuto, a sua insaputa, l’eroe ucraino del secolo, sarà scaricato al momento opportuno, quando ci sarà la torta da spartire. Si discute sul suo patrimonio in paradisi fiscali. Egli sa che il suo destino personale è legato alla guerra, ma sa anche che i suoi margini di manovra sono ristretti come non mai. Non potrebbe rifiutare – e come potrebbe? – i prigionieri di guerra, né i bambini che ha sempre reclamato in tutte le sedi.

Mai come in questa pazza guerra senza logica né testa né coda, il più pulito ha la rogna. Putin avrà il risultato di salvare ancora per un po’ la sua poltrone di ex-zar, ma divenendo vassallo di Xi Jinping che ha bisogno assoluto di accedere alla cassaforte mineraria del Polo Nord (da cui per ora è escluso) e ha bisogno di disporre delle ricchezze (e diamanti e terre rare?) della Siberia; Kirill ritornerà Patriarca agli onori del mondo e ai suoi profitti; papa Francesco vedrà premiata la sua testarda insistenza “avendo sperato contro ogni speranza”, mentre Zuppi entra nel prossimo conclave come successore designato di papa Francesco che lo lascia al Collegio dei Cardinali come suo erede; Zelensky entrerà nella storia come grande “eroe minore”, presto dimenticato perché l’unica a leccarsi le ferite, senza peraltro averne tempo, sarà l’Ucraina, che si vedrà smembrata e disossata dalle orde di vandali e lanzichenecchi che già, bava alla bocca, stanno preparando l’assalto alla diligenza della ricostruzione… “degli e per gli altri”.

L’Ucraina, dimezzata con i profughi all’estero (5 milioni circa che non torneranno mai più in patria) e senza più quella terra che ha difeso fino alla morte con i propri corpi e le armi altrui, perché essa sarà terra di altri invasori, ben più famelici e senza scrupoli. Ah, la storia, la grande Maestra di vita proprio perché, per suo statuto, non ha mai insegnato nulla e mai nulla insegnerà anche in futuro, fino alla fine di tutte le favole.

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