di Carlotta Bianchi, Ufficio Relazioni Istituzionali Wwf Italia
In questi giorni a Bruxelles è in ballo il destino di una legge fondamentale per il futuro della natura – e del benessere – dell’Europa e anche di tutti noi. Si tratta della Nature Restoration Law, l’ambiziosa legge sul ripristino degli habitat naturali.
Ma cosa significa ripristinare la natura? Vuol dire favorire il recupero di un ecosistema che è stato degradato, danneggiato o distrutto. In particolare parliamo delle nostre foreste e torbiere, dei nostri terreni agricoli, di acque interne, zone urbane, ecosistemi marini e costieri.
Il ripristino della natura su larga scala è un investimento capace di garantire numerosi benefici che vanno al di là del miglioramento dello stato della biodiversità o dello stoccaggio di carbone: la salute, il benessere umano e i benefici socio economici (quali lavoro sostenibile e opportunità di ecoturismo) sono solo alcuni dei vantaggi che si trarranno da queste azioni. Ripristinare la natura genera una maggiore protezione dalle alluvioni e rafforza la prevenzione dagli incendi, rendendo l’Europa più resiliente agli effetti del cambiamento climatico. Ripristinare la natura è necessario anche per mantenere i benefici essenziali che lei stessa genera: parliamo di aria pulita, fertilità del suolo, qualità dell’acqua, nonché l’impollinazione delle colture e un sistema alimentare resiliente.
Ripristinare la natura è una misura necessaria anche per il raggiungimento dei target climatici mondiali, europei e nazionali: gli ultimi report dell’Ipcc, infatti, mostrano che il ripristino è una parte essenziale della mitigazione e dell’adattamento al cambiamento climatico e che, senza azioni su larga scala, l’Europa sarà sempre più frequentemente soggetta ad eventi catastrofici, come quelli che abbiamo vissuto di recente in Emilia-Romagna e nelle Marche, che mettono in serio pericolo la vita di tutti noi.
Con queste premesse l’approvazione di questa legge dovrebbe essere immediata, senza ostacoli e largamente condivisa. Purtroppo, però, non è così. Nonostante più di 3300 scienziati europei, diversi report internazionali, oltre 90 grandi imprese (tra cui Nestlé, Ikea e Coca Cola) e la federazione europea dei cacciatori siano fra i sostenitori di questa legge, gli europarlamentari sono divisi e il nostro Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica si è pronunciato contro, dopo un lungo processo a livello tecnico in cui l’Italia si è mostrata collaborativa e propositiva, e scegliendo una via che va contro gli interessi del nostro Paese, fra i più ricchi di biodiversità in Europa.
Alcuni detrattori della legge convenientemente scelgono piccole parti della stessa per proporre argomentazioni che di scientifico hanno ben poco. Il terrore, forse, di perdere sovvenzioni a pratiche che già sono evidentemente insostenibili spinge questi gruppi o individui ad avanzare obiezioni per la maggior parte infondate. Un esempio lo troviamo nella posizione del Partito Popolare Europeo, che ha affermato – senza alcun fondamento – come la legge proposta avrebbe portato a un “aumento dei prezzi dei prodotti alimentari” e “persino a una carestia globale”.
Uno degli obiettivi della Restoration Law, ad esempio, è quello di destinare il 10% dei terreni agricoli a elementi paesaggistici ad alta diversità. La percentuale si riferisce alla necessità di dare spazio alla natura all’interno dei terreni agricoli, attraverso aree non coltivate quali siepi, fasce fiorite, zone umide o altri habitat lasciati o gestiti per il beneficio della fauna selvatica. Non vuol dire ridurre lo spazio coltivato e quindi danneggiare gli agricoltori, ma anzi garantire la continuazione delle pratiche agricole e allo stesso tempo promuovere la natura a beneficio di tutti, in particolare assicurando buoni raccolti.
Un minimo del 10% di queste aree in tutti i terreni coltivati è infatti scientificamente necessario per fornire a insetti, uccelli e altri animali cibo, riparo e zone di riproduzione. Raggiungere questo obiettivo significherà dare spazio agli impollinatori, evitare l’erosione del suolo e permettere la creazione di zone cuscinetto per prevenire alluvioni e siccità.
Il ripristino della natura avrà quindi un notevole impatto positivo anche sull’economia: il declino della biodiversità e gli impatti della crisi climatica causano oggi perdite economiche stimate intorno ai 12 miliardi di euro annui. I benefici economici della Rete Natura 2000 sono già stati valutati tra i 200 e i 300 miliardi di euro l’anno. Circa 4,4 milioni di posti di lavoro dipendono direttamente dal mantenimento di ecosistemi sani, gran parte dei quali sono situati all’interno dei siti Natura 2000.
Il destino della biodiversità d’Europa è in mano agli europarlamentari che il prossimo 12 luglio saranno chiamati ad esprimersi durante la sessione plenaria del Parlamento Europeo. Chiediamo a tutti loro, in particolare a quelli che rappresentano il nostro Paese, di seguire la voce della scienza, non quella delle opposizioni, e di avere il coraggio di votare una legge ambiziosa, per il futuro della natura e delle persone.