Una partita per uscire dall’ombra. Un calcio a un pallone per ricordare al mondo che se sei un bambino hai diritto a giocare con i tuoi genitori. Anche se sono in prigione. Torna la Partita con mamma e papà, una giornata in cui i detenuti possono fare sport con i figli e stare insieme fuori dalle aree riservate ai colloqui. Per la prima volta, il fischio d’inizio non è solo nelle carceri italiane ma anche in quelle catalane, belghe, olandesi, polacche, scozzesi, svizzere. Ogni penitenziario sceglie come organizzare l’incontro in base agli spazi e alle forze che ha. Negli istituti più strutturati, si sta in un vero campo da calcio all’aperto per sei ore e si pranza insieme. In altri casi, ci si accontenta di un campetto al chiuso o di un calcio balilla. Sono circa centomila i bambini con una madre o un padre in prigione in Italia, 2,2 milioni in Europa, 22,5 milioni nel mondo. Scopo della giornata è garantire un diritto sancito dall’articolo nove della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, quello al mantenimento del legame tra bambino e genitore. Anche se detenuto.
La partita – Ideata dall’associazione Bambini senza sbarre, in Italia esiste da otto anni ed è da sempre supportata dal ministero della Giustizia, che invita tutti gli istituti a partecipare. Si inserisce nella campagna annuale Carceri aperte e consente agli organi di stampa di assistere, fare interviste, foto e video dentro i penitenziari. “I miei figli sono emozionatissimi, si preparano diversi giorni prima con vere divise da calcio”, racconta a ilfattoquotidiano.it Maria (il nome è di fantasia, come tutti gli altri), moglie di un detenuto del carcere di Bollate. “Usciamo col sorriso stampato in faccia, perché è un bellissimo modo per i figli di riallacciare il rapporto con papà, che vedono poco”, dice Paola, che ha accompagnato sua figlia a vedere il padre. Prima di scendere in campo, i detenuti vengono selezionati in modo da evitare l’insorgere di possibili situazioni di conflittualità. Poi si trascorre tutta la giornata insieme, con il controllo della polizia penitenziaria. Non si tratta di una partita di 90 minuti, ma di passaggi di palla e tiri in porta. Quasi sempre, a essere stracciati sono i genitori. “Un po’ di malinconia c’è sempre alla fine, perché una giornata così chissà quando la rifai”, dice Ilenia, una delle madri. “Quando finisce tutto e si torna dentro, senti una tempesta di emozioni, perché hai trascorso un bel po’ di ore che non sei più abituato a vivere”, dice a ilfattoquotidiano.it Aldo, uno dei detenuti presenti all’incontro al carcere di Bollate.
L’iniziativa in Italia e in Europa – Sono un’ottantina le partite giocate quest’anno in tutta Italia. Una sola in un carcere femminile, a Roma Rebibbia, dove sono state le mamme detenute e non i papà a scendere in campo con i figli. Sul modello italiano, da quest’anno, la partita è stata introdotta anche nel resto d’Europa. Per adesso però sono poche le carceri che aderiscono. E nessun governo nazionale supporta l’incontro sportivo come invece avviene in Italia fin dall’inizio. Tre le Partite con mamma e papà in Catalogna, dove le istituzioni regionali hanno sposato la causa, una sola in Polonia, a Cracovia. Altre sono previste in Belgio, Paesi Bassi, Scozia e Svizzera, ma qui l’adesione è lasciata alle direzioni delle singole strutture carcerarie. “La possibilità di giocare una partita di calcio con la mamma o il papà è una cosa normale per la maggior parte dei bambini. Ma è eccezionale per chi ha un genitore in stato di detenzione in Europa”, dice a ilfattoquotidiano.it Edoardo Fleischner, responsabile di Cope. “Auspichiamo che i governi appoggino l’iniziativa, solo così si possono promuovere iniziative come questa, che mirano a contrastare l’invisibilizzazione dei bambini figli di persone detenute”, aggiunge Martin Du Bois, della rete Cope.
Il contesto dei colloqui – A parte le occasioni come la Partita con papà, gli incontri dei detenuti con i figli di solito avvengono negli spazi riservati ai colloqui. Spesso, ma non sempre, questi luoghi contengono alcuni dettagli a misura di bambino, come tavolini e sedie colorati o giochi. Nella maggior parte dei casi, si tratta comunque di stanze vicine alle aree in cui gli adulti si incontrano tra loro, e mantengono un aspetto detentivo. Per preparare i bambini all’impatto con il carcere, ma anche per aiutare le famiglie e le forze dell’ordine a gestire la relazione genitoriale in un penitenziario, dal 2007 esiste lo Spazio giallo. Fisicamente è una sala d’attesa con le pareti gialle, in cui i bambini giocano e si confrontano con gli operatori aspettando di andare a colloquio. Spazi simili esistono in Belgio, Finlandia, Germania. Ma in Europa non ci sono regole valide per tutti, e l’Italia è l’unico Paese ad avere una Carta nazionale dei diritti dei figli di genitori detenuti.